VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
Xenia


Di Curtius, Gass e del recitare
di
Massimo Sannelli


La relazione tra un buon allievo e un buon insegnante è un sentimento. Non si tratta di amore. Non è amicizia, e nemmeno simpatia, se non genericamente. La loro relazione è un’altra cosa: un rapporto di nuovo padre e nuovo figlio, per esempio; oppure: è la fusione delle età, se il dialogo è felice, come quello di Curtius e Gass.

Quando la Germania delira e muore per un uomo chiamato La Guida, Gass scrive: «Sono così fermamente convinto che il mio rapporto con Lei come Suo allievo sia solo agli inizi. – Mi auguro di cuore di poter avere la Sua guida in una nuova fase della vita» (1942). Non è un caso che Dante chiami Virgilio padre, quando non lo chiama duca (guida, Führer) e maestro, e che Virgilio chiami Dante figlio, e anche dolce figlio. La Comedìa parla chiaramente, ad esempio in Inf., VII 115 («Lo buon maestro disse: “Figlio, or vedi”…»): sapere tutta quanta la tragedìa di Enea è la base della relazione con il nuovo padre, alternativo a quello carnale; e in realtà – dal punto di vista poetico, cioè della grandezza – Dante non può avere altri padri. Per questo il duca è Virgilio, e per questo il guidato – il figlio – è Dante.

Una cosa è certa, fin dall’inizio: Gass non è un genio mondiale, ma solo un ottimo allievo, e un uomo sensibile; il genio mondiale è Curtius. Ma nella loro relazione – vista come può apparire settanta anni dopo e in un’altra lingua – si mostra ciò che non conosciamo più: l’informazione perfetta («Devo essere nello stesso tempo dappertutto, leggere Sant’Agostino accanto agli Inni Orfici, Rosenroman e così via»: Curtius, 1943), il sentimento perfetto («Il dialogo si eleva a un altro livello se si ha qualcosa in comune che si ama»: Gass, 1934; «La quiete e la passività del puro accogliere deve essere l’atteggiamento fondamentale del critico»: Curtius, 1944), l’idea perfetta – e delirante, con lo sguardo del materialista – che la vita sia degna solo in quanto destino, come sa Nietzsche («Se viene annientata la scienza umanistica tedesca tutta la scienza umanistica finisce. Perché solo noi possiamo pensare davvero in senso storico. Lo studio della storia, della filologia, della filosofia vive solo nella terra di Herder e di Winckelmann»: Curtius, 1944). Gass sa la stessa cosa,  riscritta sul piano individuale: «Se l’uomo stenta un’esistenza di massa, il suo lato migliore si atrofizza sebbene egli possa ancora fare grandi cose. Ma il suo più nobile compito resta quello di sviluppare, nel mutamento della sua esistenza, la sua sfera vitale a unica e inconfondibile»: Gass, 1944). E Curtius si spinge a dire che «nella storia della letteratura, ciò che conta non sono le correnti, ma i singoli individui» (1942): al punto che lo stesso – cosiddetto – «Dolce Stil Novo è una croce», una crux filologica, «forse un’invenzione di Dante» (1943).

Oggi la serie delle perfezioni – praticate nel tempo in cui Europa cavalca il toro nero – esalta un altro destino: quello che vive più nel futuro che nel presente, e quindi pratica una vita activa che ad altri occhi appare come un gran rifiuto. Per esempio, oggi, io – non io solo – non voglio oppormi ad un governo che non è mio, ma che è irresistibile, e ha già i suoi poeti, sia a favore sia contro: tutti suoi, in un caso e nell’altro, perché dominati. Ognuno avrà la sua Guida e il suo Padre, e anche la morte che merita, insieme al destino.

In nessun tempo «l’essere colpiti» può essere insegnato. «Questo non lo può nessuno dei maestri. Ma gli allievi possono purificare le loro conoscenze-esperienze sulle esperienze del maestro» (Curtius, 1944). E se il maestro manca, come oggi? Come si purificherà l’esperienza? Moltiplicandola, con precisione e amore, in vista di un progetto non informe («senza scelta nessuna forma»: Gass, 1944): non c’è altra via. Avere solo la vita non basta più e non basta a tutti. Qui parlo già da attore, imbestiato nelle imbestiate schegge: sapendo che recitare non è di questo mondo.



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