VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Gatti rossi
Del situazionismo ed altre cose
a cura di Emilio Piccolo



Isidore Isou e il Movimento Lettrista
di Luciano Caruso - Stelio Maria Martini

   
Nonostante si faccia gran parlare di spostamento del centro di gravità culturale dall'Europa, e ?dalla Fancia in particolare, al Nord America o dove che sia, è già occorso, non solo a noi, di trovare il quadro culturale parigino più che mai rappresentativo e completo nelle sue componenti e negli esiti di queste, come negli elementi e negli umori in gioco, tutti profondamente motivati dalle contingenze storiche.

Ciò naturalmente assai spesso a dispetto di quel che pretenderebbero l'esportazione della cultura e i mercati esportatori. Cosil altra volta individuammo, nel filone dl’avanguardia culturale dal dopoguerra al '68, nel movimento lettrista una fase fondamentale per la evoluzione delle idee e dei fatti che sfociarono poi nella gesta del maggio 1968. Un sommario esame circa le origini e le idee del movimento lettrista ci pare idoneo a meglio indicare su quali direttrici si mossero quelle idee ed i fatti che abbiamo detto.

Il manifesto della poesia lettrista porta la data del 1942. In esso si dice: anche se uno non abbia partorito un'idea, può ugualmente considerarla sua dal momento in cui la fa credere e l'adotta. Designare un'idea col nome del suo autore è più obiettivo che enunciarla attraverso le parole, dal momento che un'idea è di quelle cose che esistono solo in virtù del proprio nome. Intanto consideriamo che tra sentire e dire non esiste assolutamente coincidenza. Il dire è stereotipo perché designa l'incognito mediante il sempre, cioè l'usuale e il cognito: la parola è solo approssimazione e non esprime mai. Non s'è mai data parola veicolante gli impulsi che si vorrebbe farle trasmettere, poiché la rigidezza delle forme inibisce ogni potere di trasmissione. La parola comporta l'abolizione di ogni differenza psichica ed obbliga all',espansione in formula uguale. Essa spezza il nostro ritmo, uccide la sensibilità, rende uniforme ogni ispirazione, distorce le tensioni, rende inutile l'esaltazione, crea l'urbanità, inventa i diplomatici, pone analogie al posto di emissioni veraci; essa distrugge le sinuosità e nasce dal bisogno di de/ limitare. La parola aiuta i vecchia ricordare e costringe i giovani a dimenticare: ogni vittoria della gioventù, infatti, è sempre stata una vittoria contro le parole, perché le parole, come la buona educazione, s'imparano, e più di un idiota è riuscito ad imporsi alla società con tali mezzi. La parola riesce sempre l'opposto di ciò cui si pretende identica. Essa è il principio del balbettamento e costringe gli uomini a copiare da un modello, come bambini. La parola livella e non contiene plusvalore. Cosi le sensazioni senza parole corrispondenti nel dizionario scompaiono, come ogni anno scompaiono migliaia di sensibilità inespresse. Preferiamo indossare il vestito cencioso delle parole, su cui ormai non vi sono rammendi che reggano, nel momento stesso in cui le cose,ed i nonnulla da comunicare si fanno più imperiosi di giorno in giorno. E' considerevole la nauseata saturazione dei poeti nei confronti delle parole: essi soffrono direttamente tale situazione perché le parole restano la loro ragion d'~essere. Ora, un superamento della parola è possibile, se davvero si vuole una trasmissione d'impulsi senza dispersione. Un verbo è offerto, uguale a uno choc. Comincia la distruzione delle parole a vantaggio delle lettere: la lettera è la soluzione del problema parola = rinuncia, purché appaia chiaro che le lettere hanno destinazione diversa da quella di elementi della parola esistente. Quelli che non possono rinunciare alle parole ci restino pure in mezzo. Quelli che vi rinunciano, non hanno che da prendere tutte le lettere e da accomodarle fluttuanti come sono in un ordine più denso, tale da rendere comprensibil e palpabile l'incomprensibile ed il vago, concreto il silenzio, scritto il nulla (Palpez l'air ou le vide, inventez une matière neuve inexistante ? I. Isou, Précisions sur ma poésie et moi, Lusanne, 1950); se tutto ciò è proprio del poeta, costui lo realizzerà nel lettrismo. Non si tratterà in nessun caso di una nuova scuola poetica: per il momento è un'attitudine solitaria per cui Isidore Isou richiama l'attenzione sulla propria esistenza e l'idea porta il suo nome in attesa che altri se ne appropri, fino alla ‘valanga lettrista’, il cui annuncio chiude il Manifesto.

Del resto, le parole senza senso, le onomatopee, le parole dal significato non conosciuto costituiscono da sempre i germi del lettrismo. Opere interamente composte di analogo materiale, ma realizzate in base a proprie leggi e stile saranno le opere lettriste, il cui nome ormai esiste al pari del loro buon diritto di affermarsi. Rinunciamo per il momento ad occuparci del pittoresco dal cui seme prende vita il movimento lettrista per soffermarci sulle idee fondamentali, sul punto di arrivo,e su alcuni corollari,che possono desumersi dalla stessa esposizione del Manifesto che abbiamo fatto.

Una prima idea è quella per la quale la lingua è considerata inerte deposito di parole prodottesi in forza di determinati usi, per cui attingere a tale deposito significa tradurre e non esprimere. E' della lingua come delle belle maniere: essa risulta l'equivalente dell'ordine sociale esistente e, come le belle maniere, s'impara, sacrificando ad essa (cioè all'esistente) tutto l'inespresso che essa non può comprendere. Rileviamo

poi l'importante constatazione che di tale situazione soffrono in particolare i poeti, come quelli direttamente colpiti, al punto che annualmente è impossibile calcolare il numero delle sensibilità inespresse che irrimediabilmente vanno perdute. Finalmente l'identificazione isouiana della potenza poetica con la giovinezza, perfettamente sovrapposte nella lotta contro la stereotipia della civiltà fondata sulla parola, ci appare l'intuizione più profonda e più suscettibile di sviluppi. Ma Isou indica anche quella che gli appare come la soluzione idonea al superamento di tale stato di cose. Egli sostiene che la lettera ha una destinazíone diversa da quella per cui la si pretende esclusivamente funzionale alla parola.

Le lettere dovranno servire alla creazione di ritmi letterici tali da risuscitare il caos nell'ordine che al poeta sembri più opportuno. E' il caso classico del rimedio da sempre a portata di mano; meglio ancora, noi cercavamo gli occhiali che avevamo sulla punta del naso.

Sta di fatto che il lettrismo propugna e pratica la creazione di particelle sonore (lettere o fonemi), che possono essere eseguite par Romme avee le corps (Isou), considerato come strumento. Materiale e campo d'azione del lettrismo è dunque la lettera variamente organizzabile e combinabile in contesti di portata amplica, propria cioè di una fase della poesia nella quale questa tende al maestoso e al retorico, al narrativo e descrittivo, valendosi di fatti a lei esterni come il soggetto e l'aneddoto. Questa fase si contrappone a quella cesellatrice, cui la poesia si ridusse da Baudelaire in poi, tale permanendo fino a lui, Isou, il quale, grazie alla nuova materialità da lui recuperata alla poesia, fa ritornare alla fase amplica.

In verità Isou precisa che il lettrismo non è una lingua né un linguaggio perché, pur ordinando in gruppo le lettere, non dà ad esse alcun significato noto, negando così a tale organizzazione ogni potere di astrazione utilizzabile e sfruttabile. Il lettrismo non è neppure poesia, dal momento che prescinde dal senso abituale tradizionalmente attribuito alla poesia, cosi come esso non è neppure musica, visto che la recitante voce lettrista deve mantenersi su di una linea melodica sì, ma uniforme e monotona. Isou è dell'avviso che il lettrismo sia piuttosto una fede (e vedremo subito il perché di siffatto termine) nell'in sé, propria dell'essere intieramente preso come strumento della propria soggettività, inteso alla liberazione di questa.

Isou, il quale come abbiamo visto progettava questo programma fin dal 1942, non a torto considera come suoi immediati antecedenti Hugo Ball, che nel febbraio 1916 fondava a Zurigo il Cabaret Voltaire, ed Artaud, che nel 1934 sulla base di un'idea che s'era fatto della consunzione della lingua, aveva scritto, « dans une langue qui n'était pas le frangais mai que tout le monde pouvait lire, à quelque nationalité qu'il appartint », il libro Lettura d’Eprahi Talli Tetr Fendi Photia o Fotre Indi. Sta di fatto, però, che se il lettrismo appare come il risultato più vistoso dell'opera isouiana (il lettrismo in campo poetico?musicale, approfondito dall'esplorazione della gamma sonora e dalla surtenzione, dall'estapeirismo o estetica dell'indeterminato, del minuto e del silenzio, dall'estetica meccanica e dei rumori, dall'afonismo; dell'ipergrafia nel romanzo, pittura e scultura; dal cinema e dal teatro diversificanti; dall'economia nucleare, che nella sollevazione giovanile, cioè degli esclusi da sempre dall'economia, vede il capovolgimento dei principi tradizionali di essa; dalla filosofia e dalle scienze psichiatriche e psicologiche nel loro insieme o psicokladologia; dalle iperleggi generali della creatica) in esso va ancora una volta ravvisata la non taciuta meta della pratica indistinzione delle arti sotto le citate iperleggi della creatica, così come dalla concezione del corpo umano?strumento di codesta fede estetica, non meno che dalla stessa aberrante ideologia isouiana scaturisce nel particolare sentimento del corpo presente nei testi anche teorici dei lettristi, il cui movimento, anche a tener conto delle scissioni e delle scomuniche reciproche non può essere definito come setta. Stesso discorso va fatto per il sentimento millenaristico che accomuna la prospettiva escatologica di molti lettristi.

Di tutta l'attività che abbiamo detto si parla, da parte di alcuni lettristi in vena di ortodossia, di Tnovimento isouiano, ma più in generale da parte lettrista, si preferisce parlare di organizzazione intesa a formare i creatori nelle varie discipline (estetiche e scientifiche) al fine di determinare nell'insieme del sapere un « salto moltiplicatore di ricchezze » sotto regole generali di lavoro in vista di un «reale compimento personale ». Come pure è occorso di accennare più volte fin qui, esiste un più profondo, se possibile, retroterra culturale ed ideologico all'origine di tanta aspirazione all'universalità, al quale vorremmo brevemente accennare, a patto che si tenga ben presente, anche a titolo di nostra personale riserva, « qu'un détestable ésprit de serieux fait souvent sombrer dans le comique involontaire » Isidore Isou (Dufrène). E' nella personalità di costui, infatti, e nelle sue idee di partenza (e permanenti) che stiamo per mettere le mani. Nel quadro della letteratura francese, il meteco Isou (di origini carpatiche) sente la necessità di premettere che (« que les autres peuples ne protestent pas! ») « méme si le poète n'a pas été frangais / c'est la France qui l'a rendu universel.. (... les poètes éstrangers ont dú passer par filière francaise pour arriver » ? Introcluetion à une nouvelle poèsie et une nouvelle musique, Gallimard, 1947).

Indipendentemente dal fatto che questa ed altre numerose persuasioni isouiane (linguaggio compreso) rientrano a pieno diritto nel bagaglio di certa mitologia borghese, sta di fatto che tale ideologia, specialmente nell'opera autobiografica L’Aqrégation d'un nom et d'un messie (roman, Gallimard, 1947) (ma ne sappiamo orinai abbastanza per considerare quanto l'autobiografia isouiana. si sovrapponga all'attività pratica) risulta nutrita e sostanziata di un vero e proprio delirio megalomane di origine assai dubbia, il quale a sua volta, sulla base della nascita ebrea di Isou, si orienta alla costruzione teorica di un non meno delirante sionismo a prospettiva universale, del quale egli stesso si proclama messia. Ora, secondo le nostre lacunose informazioni al riguardo pare che l'ultimo esponente di tale illustre serie storica, morisse musulmano ad Adrianopoli intorno al 1670.

Non riteniamo che aver fondato il lettrismo ed aver dedicato ad esso l'esistenza (sia pure concependolo come il nucleo di un verbo giudaico cui, senza troppe contraddizioni, per giunta, si sommò l'entusiasmo per Stalin e lo schierarsi dalla parte del comunismo) sia sufficiente a ridare credito alla professione di messia. Pare ad Isou che, una volta realizzata la rivoluzione comunista, che egli considera già fatto squisitamente giudaico, il mondo sarà pronto per la realizzazione del giudaismo universale, unica « base croyable de tout un passé de révolutions et d'accomplissements organiques, éternels ... », non essendo altro il giudaismo che « invitation à la Vie, à la Réussite, au Bonheur ». « Ainsi le judaisme s'imposera naturellement ? à la France et au monde ? comme un bien entendu fondamental de la conscience, comme une dernière courbe de l'accomplissement. Et le règne des Juifs, de tous les. hommes devenus Juifs, se réalisera, selon les anciennes prescriptions purifiées, comme un art réel, concret » (p. 428).

Non ometteremo di rilevare che questo libro di Isou sembra fatto apposta per spiegare tutte le più lugubri fantasie della pubblicistica antisemita, fino alle Bagatelles pour un massacre. E, ciononostante, rimaniamo dell'avviso che le idee di Isou, nel loro insieme, restano cosa troppo ricca e complessa per poterla relegare senza appello nel dominio della paranoia megalomane. Riteniamo, insomma, che anche a voler severamente giudicare il lettrisino come privo di risultati cospicui e troppo preoccupato di estendere la propria area di competenza attraverso la costruzione di fragili strutture dalle strane denominazioni ? e ciò in definitiva non è vero, parendoci invece cospicuo il corpus lettrista a tutt'oggi prodotto: si pensi ad Isou, Spacagna, Lemaitre, a Chopin, Dufréne, Heidsieck, ad Altman ? rimarrebbero pur sempre i postulati critici del manifesto, citato all'inizio del presente articolo, i quali, in tutto o in parte, attraverso Debord e compagni, passarono al movimento situazionista e si coneretizzarono nel maggio 1968.

(1974) L. Caruso - S. M. Martini


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