Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Giacomo Bergamini: Pieghe nel silenzio
di Cesare Ruffato


Le stazioni poetiche che Giacomo Bergamini, accanto a laconiche notizie biografiche
e di collaborazione a varie riviste letterarie, fa conoscere di sé sono le seguenti:
Hiatus (Anterem, 1980), Finzione fàtica (Myself print, 1983), Il martello di Faust (Tam tam, 1983),
Il silen­zio e il suo doppio (Tam tam, 1986), La malattia delle parole (Anterem, 1997).

Si apprende rapidamente il suo versatile interesse per il teatro, la poesia sono­ra e in particolare

per la poesia verbo-visiva espressa nei testi Transfert (Campanotto, 1980) e la citata Finzione fàtica.
Un percorso tanto intenso e coerente pone l'autore nella zona limite, ambito di scelta idiopermissiva
ove l'osmosi tra figura e parola può attingere le preziosità del sublime e il senso può percolare
nelle penombre e pieghe si­nestesiche del silenzio. E il tema del silenzio viene giocato in una
delle prove logo-iconiche Il silenzio e il suo doppio prefata acutamente da Adriano Spatola, ove
la monotonia scabra iterativa dei segni, con lenta destabilizzazione esiziale della forma in una
inextricabilis via frecciata ossessiva, increspa anche l'eco virtuale del silenzio che scombina
la ri­flessione muta del doppio a simbolizza­re una espressività sospesa e depauperata
di cenni ed ammicchi.
Ne affiora l'umano più nobile e poetico che inten­de soccorrere il proprio vivere e interrogare
gli intimi generativi silenzi, in un

intorno ormai soffocato da rumore fisi­co e informativo paradossale che svilisce la creatività

e l'armonia di mondi d'esperienza.

Nello stesso registro di ricerca si colloca anche la prova un po' precedente Finzione fàtica costituita

da visioni di geometrie e simboli natanti nello spazio, di cose assurde o impossibili, di paleoresti
geologici asettici, una sorta di navigazione inesprimibile di un presunto IO, separato imperfetto
dislocato per mutamento infelice insistito nella vocale maiuscola I, sulla quale il prefatore Gio Ferri
si affila in incertezze ecdotiche «volontà del segno di sottin­tendere astutamente un senso impossibile [...]
il segno che non ha alcunché da affermare [...] rivela l'inconsistenza significativa della propria struttura,
la sua inutilità, il silenzio discorsivo».

Lo sguardo in chiave psicoanalitica dell'osservatore insistente per altro dialogo può fare balenare

anche l'idea della costruzione letteraria di una rap­presentazione d'un sogno nato solo per essere
sognato ed eludente il racconto. Nell' autore l'inclinazione al sincretismo scientifico letterario continua
e, trala­sciando la staticità visivografica, realizza nello stesso anno una plaquette in versi liberi
Il martello di Faust (Tam tam, 1983), la quale a sua volta rapidamente si riallaccerà all'opera più
impegnativa e un po' precedente Hiatus (Anterem, 1980). Spatola nell'introduzione ribadisce
la propensione per gli oggetti d'antiquariato, emblematizzati dallo stesso titolo, per «forme cerimoniali
del linguaggio» e rileva, in accordo con Gio Ferri, «la disperazione del poeta» per «non saper liberare
assolutamente il segno della parola dalle sue memorie genetiche»

Lontani dal cosmo iconico-simbolico si viene irretiti nell'atmosfera linguistico-espressiva che

costituirà l'empito processuale fondante dell'attività letteraria dell'autore. Si tenterà di evidenziare
alcuni elementi suggestivi della dimensione poetica composita nella quale spazia Bergamini
mediante una stratificata correlazione emotiva di sensazioni e riflessioni, tipiche di una elaborazio­ne critico-esperienziale finalizzata alla sperimentazione di accostamenti, divaricazioni, inversioni (iperbato),
omissioni (ellissi), condensazioni e adattamenti di stati estetici di vita, di conven­zioni e di azioni.
Sono così recuperabi­li: a) un nominalismo anatomo-scienti­fico (corna) ombelico, scabbia, zoppo,
ip­pocampo, pupille, sembiante, scompen­So, sintomi, omero, lingua, ostio, bocca e a topa, protesiale);
b) una sintassi ver­bale franta e sconnessa, tarantolata (una versificazione liberata con qualche raro
endecasillabo nn. 2, 5, 15, ma in prevalenza assai riduttiva con frequenti versi monoverbali
- in 3 intacca, edifica; in 5 citando, uscendo; in 7 rinsalda, interrogando; in 8 aggrotta; in 10 interferendo,
risalga, agire; in li deificato; in 12 protetti, venendo; in 13 lavandos4 in 14 disturbo, recita, indelicato;
in 15 smiagola; in 16 chiede; in 18 animato> dilatando; in 19 tradotta); c) una elevata gerundività
con funzione temporale, causale, modale, isolata (scovando, interrogando, esplicitando, escludendo,
interferendo, in tagliando, dilatando) o plurima (citando risalendo; conferendo, citando, uscendo; tormentando, tormentando; venendo dilatando; svagando trasfugando lavandosi; essendo mostrando) talora in forma
assoluta come verso monoverbale (in 5 citando uscendo; in 7 interrogando; in 8 pur esplicitando;
in 9 escludendo un; in 10 interferendo; in 12 venendo; in 13 lavandosi; in 18 dilatan­do); d) presenza discreta
di enjambe­ment (in 1 al 2°, 5° e 7° verso; in 3° al 4° verso; in 9 al 1°, 3°, 5° verso; in 12 al 7° verso;
in 13 al 2°, 3° e 6° verso; in 14 al 1° e 7° verso; in 15 al 6° verso; in 17 al 2° 3° verso; in 18° 4° e 8° verso;
in 19 al 3° e 6° verso); e) la forte in­sistenza di parole con doppia conso­nante, in forma più o meno
assiepata sovente con rimandi accostati o a di­stanza (vedi 1, 2, 3, 4, 7; in 8 al 10° verso; 11, 12, 14, 15, 17,
18, 19, 20), viene a creare un fitto reticolo allitterativo assonante e dissonante di particolare vitalità
ed eccentricità, fluttuato da accensioni temporali dalle altre interfe­renze figurali retoriche segnalate,
in un effetto globale di accelerazione singolare linguistico-espressiva.

Opera più corposa di poesia lineare prefata da Gio Ferri è Hiatus che s'incentra nella citazione d'esergo

di E. Zamjatin «il carattere formale di una letteratura viva è simile al suo carattere intimo: nega la verità,
nega ciò che ognuno conosce e ciò che si è conosciuto fino a questo momento» anche se svolgendosi
si palesa più che negazione una messa in discussione ironico­autoironica sottilmente estetica
della realtà con «spaesamenti periodici di dialogismo metonimico fortemente astratto pur nel polisenso
di un continuo narrativo». Qui l'autore, divergendo dagli stereotipi tradizionali e con insistenza scettica
- talora cinica - sull'angosciosa realtà sociale e sugli aspetti esaltati erotico affettivi, costruisce ed
esibisce il mosaico perplesso linguistico-formale già rilevato a commento di Il martello di Faust.
In una semiosfera tattilizzante irradiata giocano ammicchi, reticenze, sospensioni, ambiguità verbali,
neologismi, acrobazie foniche, tecnicismi morfosintattici, figure retoriche azzardate implodenti
una esperienza sperimentale al limite d'un pos­sibile controllo e di una nebulizzazione di senso.
La scelta estremistica dell'au­tore si muove sullo hiatus, sull'orlo del­l’abisso, sull'orizzonte di buco nero
inferendo una vertigine di suggestioni ed allusioni permeate di silenzio esoterico. Il testo alterna
composizioni sottili per folta presenza di versi monoverbali a composizioni compatte (con accenni
a pangramma acrostico, in VIII, IX) con frequenti enjambement e una pletora di parole con raddoppi
consonantici (particolarmente evidenti in X, XI, XIII, XVI, XVII, XIX, XX); aspetti anaforici intervallati (VIII, IX); qual­che rima interna, assolutamente schivata la rima finale. Il laboratorio ossessi­vo si arricchisce
di testi parodianti a combinazione speculare totale perfetta (IX) o rimaneggiata alternata, incompleta
e scombinata (XXIV, XXV, A Luisa); e di qualche gioco anagrammatico sovraccarico di ironia (Acrostico di Padint).

L'opera più recente La malattia delle parole (Anterem, 1997) segna un certo divario rispetto

alle esplorazioni elucu­branti precedenti e si propone come fase di maturità più adagiata. L'impegno altro
si enuncia già nel titolo, ove lo stato patologico della lingua, nella sua più articolata costellazione di rovine,
invoca l'urgenza terapeutica per una restitutio ad integrum rinobilitante. E l'autore pesantemente coinvolto
nel conflitto pone persino la propria nominazione «il poeta bussa da dentro / il suo nome» pag. 32 in verso
settenario (in Volatile segnico pag. 16), con gesto non di presunzione ma di tributo salvifico della poesia,
in doveroso rispetto anzitutto della paternità genetica e nel contempo di un padre esimio omonimo di poesia
(Giacomo Leopardi) suffragato anche dalla parte iniziale del cognome (berg-amini) che indica elevazione,
spinta ad emergere. In questo libro si ritrovano, sia pure liberate da aspetti manieristici ma sempre
in chiave petrosa, le varie modalità espressive indicate nelle opere precedenti ed offerte in maggior
diluizione formale e discorsiva con ammicchi propiziatori e lenitivi del senso. Persiste in gran parte il verso volutamente breve con amputazione frequente di endecasillabi in enjambement con esclusione della rima
finale e privilegio di consonanze rimate interne. Di un certo riscontro anche anafore soprattutto intervallate
a forte percussione (pag. 43). Più ricercata la scelta aggettivale con effetti (anche 05-simorici)
assai suggestivi (una eco claudicante; un soffio zumato / sul fantasma pag. 13; uno squarcio covato pag. 14;
giardini inquieti pag. 18; slancio morente pag. 18; un capriccio placcato pag. 21; quel segno scaturito pag. 26;
racconto piovoso pag. 31; sorriso cesti-nato pag. 32; l’ombra pensosa / dell’eco pag. 37); qualche gioco anagrammatico (le ante e le tane pag. 44). Ma vanno ri­chiamati elementi di rinnovamento: 1)
una tramatura più articolata e significante per ricorrenza di nessi fonici vocalici consonantici e sillabici;
2) inserti gerundivi discreti e più amalgamati; 3) nominalismi parasintetici con prefisso privativo 5- a forte
realismo espressivo (svaluta, sbattezzato pag. 15; scodifican­do pag. 20; sregolata pag. 21; slabbrate pag. 27; scoronare, scomporsi, schiudersi, spiumare pag. 31; screma, scovando pag. 32; slaccio e smanto pagg. 40-41; spettinato, sfilacciato pag. 45; e dis- (disincanto, disvelo pag. 16; distrarre pag. 18; dispiegato pag. 35;
disinnestare pag. 37; dissodate pag. 40; disattesa pagg. 40-41-42); altri verbi parasintetici rari o di prima
coniazione; una azione acce­lerativa dell'esposizione (infossare, intollera, intomba pag. 16; s’invernino
e insepolti pag. 17; invilire, illacrimi pag. 18; dolorare pag. 26; fiumare pagg. 31 e 38; letiziare pag. 41);
4) variati esempi di deissi pronominale personale («instabili labbra / di lei» pag. 27; e quel «ti bacio [...]
mielato a veleno da un dio io / giacomo bergamini [...] disvelo questo gesto mimato» pag. 16;
«le dita su di lei» pag. 26); pronominale e aggettivale possessiva (la serie di SUO, Sua, sue e
miei azzeramenti e mia penna, in Evento minimo pagg. 35-38; la serie del suo e suoi in Dei luoghi del sole
pagg. 11-12); pronominale dimostrativa di questo a questi, quello, quella (in Variantidi pagg. 40-42,
ma soprattutto a percussione anaforica anche intervallata in Specchi e riti pagg. 5, 29)
una prova di varianti (Variantidi pagg. 40-42) assai più elaborata, in intensiva stratifi
cazione di registri con prestiti, lussazioni nominali, neologismi e costruzioni sintagmatiche di alta suggestione.

Il raccordo delle varie esperienze attraversate dall'autore ci costringe a "salti" e a scorciatoie spigolose

in tempi e diversità culturali con vasti aggiornamen­ti indotti dal predominio di scienza e tecnica e
dal mutato atteggiamento storico-politico e sociale, che sollecita a stabilire nuove forme relazionali e
di confronto interpersonali e collettive tale da favorire spinte eclettiche e desideri di emancipazione.
Per il nostro auto­re, fortemente implicato in problemati­che eccentriche e di decostruzione, bene
si addicono per i riflessi personali alcuni passi del sonetto petrarchesco CXCV «Di dì in dì vo cangiando il viso
e il pelo ... et ch 'i' non odi et ami / l'alta piaga amorosa che mal celo. / Non spero del mio affanno aver
mai posa, / in fin ch'i' mi disosso et snervo et spolpo» che evidenziano il rovello psicofisico del soggetto
nella complessità dell'esserci. Il vissuto estetico esperienziale, non quantificabile, si può esprimere
ipoteticamente ma in modo intraducibile tramite le vie dell'ineffabile, del poetico, del silenzio.

Di fronte alla relatività relazionale fra mondo lingua e idee si ripropone la dialettica reale e ideale,

fra l'esistere pensabile e quello impensabile, la ten­sione a configurare ciò che per natura è invisibile,
un nuovo porsi estetico del soggetto e del linguaggio letterario, di fronte all'inespresso, il quale si darà
vita nel silenzio, nella epoché, nell'attesa, nella reticenza dilatando così per il linguaggio la potenzialità
del desiderio del dire esaustivo. Giacomo Bergamini, cultore eroico d'una poesia biologica della fantasmagoria lessicale e concet­tuale, patito della centralità dell'uomo e delle sue incombenti problematiche, incarna
in fondo la conflittualità dell’intellettuale riattizzata dal continuo declino d'orizzonti, dalla inconciliabilità
fra realtà eidetica e concretezza empirica, dalla fragilità babelica verbale, ben conscio che, come sostiene
P. Pepe, «l'impossibile della realtà è il corrispettivo dell'invisibile della fantasia, del nulla della riflessione,
del grado zero dell'invenzione».

Indice recensioni e note critiche
La realizzazione informatica della rivista è curata da Dedalus srl
Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


Per informazioni, si prega contattare:
Emilio Piccolo e/o Antonio Spagnuolo