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Recensioni e note critiche
 

Milo De Angelis, Dove eravamo già stati (poesie 1970-1999)
di Raffaele Piazza

Milo De Angelis, Dove eravamo già stati (poesie 1970-1999)
Con una nota critica di Eraldo Affinati
Donzelli Poesia, Roma 2001, pagg. 216, € 9,30
 

Poeta tra i più noti tra quelli di questo inizio di millennio, presente nelle maggiori antologie e autore di libri mondadoriani, Milo De Angelis, milanese, è uno degli autori più significativi dell’attuale panorama italiano. Il testo è una raccolta antologica che raccoglie poesie tratte da ognuno dei suoi libri, a partire da Somiglianze, che ha segnato il suo felice esordio, passando per Millimetri, Terra del viso, Distante un padre, fino all’ultimo Biografia sommaria. 

Lo sfondo su cui si muove la vicenda poetica di De Angelis, lo scenario, o per usare una metafora teatrale, lo spazio scenico dove si muovono i suoi personaggi, è Milano, città cosmopolita per eccellenza, fredda eppure pulsante al tempo stesso, città industriale di dimensioni internazionale, centro commerciale e polo economico, una Milano resa poeticamente, con un grande rigore.

La poesia di De Angelis è sempre dura, anche se, tra Somiglianze e Biografia sommaria si chiude un cerchio quasi magico con un recupero di dolcezza, una dolcezza, accennata, eppure sicuramente esistente.

 

Scrive Affinati nell’acuta nota che su questo poeta continua a gravare un equivoco interpretativo che solo i lettori più accorti hanno saputo evitare: sin dagli splendidi esordi, di fronte alla fulminea rapidità delle sue associazioni, che a volte sembrano configurare veri e propri salti nel buio logico, lo si collocò subito in una linea orfica o neo-orfica, cripto-ermetica se non addirittura mistica con la quale, in verità, egli non ha mai avuto niente da spartire. Se, infatti, con tali appellativi, desideriamo riferirci allo sprofondamento cieco nel magma indistinto dell’inconscio, dove l’artista raccoglierebbe i propri frutti senza nemmeno vederli, sfuggendo al controllo dei nessi per raggiungere una suprema libertà inventiva, se davvero si vuole intendere questo, non ci potrebbe essere lontananza più radicale dalle intenzioni dell’autore…

Su questo punto mi dichiaro perfettamente d’accordo, visto che non può esserci poesia alta, e quella di De Angelis è una delle poesie più alte tra quelle dei poeti italiani contemporanei, che non sottenda un inconscio controllato, anche se zone alogiche possono avere la loro rilevanza.

Milo De Angelis è un poeta, che si esprime con una scrittura sempre sorvegliata, e controllata, frutto di un naturale talento e di un grande cultura, che si stemperano sulla pagina con esiti rigorosi e precisi. In primis si parlava di durezza del dettato, e per questo s’intende, un suo modo, per niente autocompiaciuto, di parlare per immagini crude violente, forse, ma che si aprono sempre a scenari d’implicita saggezza e salvezza, venati da un alone sapienziale: così De Angelis riesce sempre a raggiungere una marcata originalità, uno stile inconfondibile.

 

Il senso del tempo scorre nelle sue pagine in modo fortissimo e incombente e, l’autore milanese, professore nei licei, ci dà sempre l’impressione, nel suo fare poesia di una forte drammaticità: per esemplificare leggiamo da Millimetri la poesia che compare anche sulla copertina del libro einaudiano: Ora c’è la disadorna:- Ora c’è la disadorna/ e si compiono gli anni a manciate/, / con ingegno e forbici e/ una boria che accosta/ al gas la bocca/ dura fino alla sua spina/ dove crede/ oppure i morti arrancano verso un campo/ che ha la testa cava/ e le miriadi/ si gettano nel battesimo/ per un soffio.

Grande drammaticità questa espressa da Milo De Angelis che esprime ancora una volta il disagio del poeta, reso ancora più acuto dalla sua vita in una città come Milano supertecnologica ed espressione massima di una mentalità globalizzata, di una rilevanza nevrotica che tenta attraverso lo scavo e la ricomposizione dei suoi pezzi, tra idroscali e strade senza fine, di un destino che porti ad un esito soteriologico, proprio attraverso le connotazioni e le venature del suo dirsi.

Leggiamo il testo Idroscalo tratto dal suo libro più recente Biografia sommaria:-“ Il ragazzo che si tuffa/in un crawl potente e urta un sasso…/ …la ciocca insanguinata…/…la giovinezza prese la forma/ di un passo oscuro/, di una rosa/ appesa alla finestra/”salvami padre, da quest’ora dolorosa”/ la gente saliva scendeva cercava/ una fune,/ una cosa/ qualsiasi, sputava, gettava acqua/ il suo fazzoletto, ciascuno/ parlava all’orecchio/ di un altro diceva/ Dio non ha più desiderio,/ una volta aveva freddo, Dio tendeva/ le mani per indossare/ un cappotto, il primo, anche questo/ che è vecchio, guarda,/ toccalo, tienilo pure…/ un cappotto capisci, non i velluti/ scesi dal cielo ma questo, / il mio, persino il mio cappotto.

Da notare che Biografia sommaria è stato oggetto di una breve recensione di chi scrive, apparsa su Il Mattino di Napoli, intitolata: Ho visto Dio all’idroscalo: eccolo dunque il misticismo di De Angelis, quello di un Dio antropomorfico, un Dio con la d maiuscola che indossa un cappotto, forse per proteggersi anche dal dolore alla vista di un ragazzo, che si è seriamente infortunato in un tuffo e perde sangue.

12 ottobre 2003 


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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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