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Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche

Luciano Fusi, Nel ricordo d'antico sogno
di Ivano Mugnaini

Luciano Fusi, Nel ricordo d'antico sogno
Bandecchi e Vivaldi, Pontedera, 2002
testi ispirati alle opere pittoriche di Antonio Possenti
 

 Un libro si può sfogliare, leggere frettolosamente, guardare distrattamente. Il volume “Nel ricordo d’antico sogno”, nato dalla collaborazione tra il poeta Luciano Fusi e il pittore Antonio Possenti, si fa leggere ed osservare invece, grazie all’accattivante veste grafico-tipografica, ma anche e soprattutto per il senso di genuino accordo, per l’incontro sincero, faccia a faccia, tra letteratura ed arte visiva. Si fa leggere ed osservare, e conduce in modo spontaneo ad alcune considerazioni che partono dal testo specifico per poi estendersi al rapporto tra le arti, ai mezzi espressivi, al dialogo, al confronto e all’incontro tra voci e forme.

 La prima considerazione è in realtà una domanda, un interrogativo. Viene fatto di chiedersi cosa abbia posto fianco a fianco all’interno di uno stesso volume due artisti così distanti a livello di estetica e concezione dell’arte come Fusi e Possenti.
 Da un lato Luciano Fusi, attore e regista ma soprattutto poeta rigoroso, a tratti crudo, legato pasolinianamente all’asfalto e al cemento del reale, del tangibile. Impegnato nel senso più concreto del termine, tenace nella sfida combattuta per le strade e nei casermoni disumanti, nei palazzi e nei supermercati, sul fronte aspro e lacerato del presente.
 Sul lato opposto Antonio Possenti, maestro dell’esuberanza cromatica ed allegorica, raffinato ed immaginifico, generoso di immagini e simboli, iperboli agrodolci, sovrabbondanze ironiche di figure malinconiche partorite da fantasie iperfeconde, ilari e lievi, sospese su terreni impalpabili.
 Eppure, nonostante tutto ciò, si è verificata la scintilla, il contatto, il solo evento che conta in fondo, l’emozione. Il poeta Fusi si è trovato di fronte ai quadri di Possenti ed ha scoperto e sentito profonde affinità e simpatie, nel senso stretto ed etimologico del termine: soffrire insieme, spartirsi un’identico stato d’animo. Viene fatto di pensare allora che, come gli accade per i quadri di Van Gogh, come gli succede con le poesie di Rimbaud, Fusi abbia trovato nei dipinti di Possenti una parte di sé. O, almeno, una nota assonante, un grido condiviso, sia pure su armonie e contrasti distanti rispetto a quelli a lui consoni.
 Vale la pena in questo contesto rievocare brevemente l’incontro fondamentale tra i due autori, quello avvenuto a Firenze alla Galleria degli Uffizi. Possenti esponeva lì una serie di quadri ispirati ai testi di Arthur Rimbaud. Fusi è stato attratto magneticamente dalla possibilità di vedere visualizzati i versi del poeta francese, ed ha “scoperto” in quell’occasione l’opera pittorica di Possenti. Ha preso a scrutarla, a dissezionarla, a commentarla assieme alla sua compagna Cinzia. Possenti era lì presente ed ha ascoltato in silenzio questo dialogo, guardando a tratti questo visitatore atipico, questo entusiasta che riviveva con le parole e con i gesti i suoi quadri. Lo ha ascoltato a lungo senza rivelare la sua identità fino a quando, vinto dall’emozione, gli si è avvicinato abbracciandolo con gratitudine. Solo allora Fusi ha conosciuto di persona e con grande sorpresa l’autore dei quadri che aveva commentato e rivissuto.
 Questa “cronistoria”, fortemente sintetizzata, è comunque a mio avviso utile non solo per comprendere la genesi del volume ma forse anche per acquisire qualche tessera del mosaico che unisce in un’unico volto, un’identico sguardo, l’arte e la vita. L’incontro è esso stesso arte, poesia, segno che si innesta su altri segni, altre forme, altri oggetti. Ma soprattutto è incontro di uomini, la conferma felice della possibilità del dialogo, la verità forse, o perlomeno l’anelito a conoscere, a sentire, a capire, fosse pure per comprendere che la sola risposta è un affascinante ed eterno enigma.
 Personalmente, lo ribadisco, trovo poetico questo incontro fiorentino, questo scoprirsi affini senza sovrastrutture o scopi reconditi. L’arte si è rispecchiata nell’arte. Ed ha sorriso, compiaciuta, prendendo coscienza che lo specchio non è perfettamente liscio né perfettamente fedele. Perché nel punto di vista che non converge pedissequo c’è arricchimento, c’è la speranza di cogliere un frammento in più, uno spicchio di cielo ed un barlume che la linea retta, la geometria della logica e della pragmatica, non sono in grado di offrire.
 Sogno e realtà. Due dimensioni che si contendono e spartiscono lo spazio di questo volume. Dimensioni parallele ma ineluttabilmente attratte l’una dall’altra. Perché prive di senso se prese separatamente. La realtà è sterile come pietra se non aspira a staccarsi dal suolo, e a sua volta il sogno fluttua incosistente, privo di peso e di senso, se non sente il richiamo del corpo, l’attrazione gravitazionale che lo riporta a terra, sul terreno aspro della verità.
 Un artista non può fare a meno di sognare. Ma l’artista non aspira mai a staccarsi del tutto dalla realtà. Neppure i più arditi scrittori di fantascienza lo fanno. Non vogliono e non possono.  La terra è il solo sogno che conta e il volo più alto è quello che anela a ricreare la realtà, la dimensione umana, nuova, diversa, ma sempre e comunque autentica, riconoscibile.
 Ecco perché il connubio artistico tra Possenti e Fusi è stato possibile ed ha dato frutti. Perché entrambi, con la gamma di segni e figure che sentono proprie, perseguono lo stesso fine. L’osmosi tra ideale e reale, la metamorfosi, la rinascita, il trionfo del sogno nei confini illimitati del vero. Non si accontentano della realtà, l’uno e l’altro artista, pur amandola profondamente. Anzi, non si accontentano proprio perché la amano, vi sono radicati in modo tenace.
 Possenti persegue il progetto di metamorfosi con la setola morbida di un pennello intriso di colore. Fusi con la plastica e l’acciaio di una penna a sfera. Ma entrambi seminano il germe di una vita alternativa, un mondo altro strettamente connesso al mondo reale. E le divergenze si smussano, si modellano l’una ai profili dell’altra, si intersecano e si fanno corpo unico. Alla dimensione onirica dei quadri di Possenti, apparentemente estranei alla contingenza e alla tirannia del tempo, si affiancano uno dopo l’altro i versi di Fusi, precisi e taglienti come le lamiere di un affollato parcheggio, come i detersivi e i barattoli di carne in scatola in fila sugli scaffali di un supermercato. Le stesse lamiere e lo stesso immenso magazzino che Fusi sfida in un disperato duello. Vi entra dentro e lo analizza metro dopo metro, cellula dopo cellula, per esorcizzarlo, per tentare di inoculare all’interno il germe della bellezza, la fragilità eterea e testarda dell’armonia. Il sogno, in fondo. Un sogno che si arrampica su un impervio tratto di salita. Un sogno in guantoni da boxe, quello di Fusi. Il sogno di chi, per scelta e destino, sa di dover attraversare i vicoli sordidi di uno sconfinato Bronx. Ma passo dopo passo, verso dopo verso, ferita dopo ferita, c’è la possibilità di incrociare un passante che svolazza leggero come una delle figure allampanate dei quadri di Chagall. C’è la possibiltà di incrociarlo e di scoprire in un sorriso che sta andando nella tua stessa direzione.
 Luciano Fusi, scabro come un filosofo stoico, capace di guardare negli occhi gli occhi del dolore e della follia senza perdere una salvifica lucidità, incontra nel suo cammino un pittore capace di volare. E si accorge che gli è vicino, alla portata di una stretta di mano, un disegno comune, forme e parole da tracciare assieme su un foglio bianco.
 Dialogo che trae origine e forza innanzitutto dalla radice comune dell’amore per la parola. Possenti è uno degli artisti contemporanei che maggiormente affida la propria espressione pittorica alla parola. Sotto forma di titoli, precisi, ricchi, dettagliati, di didascalie all’interno dei dipinti, di richiami intertestuali a livello di substrato, di riferimenti ad opere fondamentali della cultura letteraria europea. Ma anche e soprattutto Possenti è pittore di parole, narrativo nel senso più ampio del termine, per la capacità affabulatoria, il gusto di narrare, di raccontare e raccontarsi, per la capacità di inventare storie, fiabe agrodolci, spiazzanti e chiarissime, inquietanti e leggere, dotate di significato proprio ma sempre serenamente aperte all’interpretazione, alla co-operazione di chi osserva e percepisce, alla controinvenzione, alla più fertile ibridazione.
 Una logica impalpabile, eterea, tra riso ed esercizio del pensiero, un erasmiano elogio della follia con cui Fusi si è felicemente incontrato e confrontato.
 Nell’universo complesso di questo libro, questo multiforme “Ricordo d’antico sogno”, ruotano artisti diversi tra loro per epoca, per indole e per opzioni tecniche e tematiche. Ma tutti a ben vedere accomunati da una costante: il loro essere, ciascuno a suo modo, estremi.
 Rimbaud innanzitutto, morto a trentasette anni dopo una vita vissuta pagando sulla propria pelle il prezzo altissimo che viene imposto a chiunque osi innovare, l’arte e la vita.
 Rimbaud, quindi, in primo luogo, ma estremi sono anche i due suoi allievi e ideali discepoli. Fusi, scomodo e inquieto per necessità e non per moda o per ossequio ad una posa poetica.  Controcorrente con coerenza e disperata felicità e non per sterile sfoggio di originalità.
 Ma anche Possenti è ribelle ed estremo. Estrema è la forza visiva, l’impatto dei suoi quadri. Il colore puro, netto, quasi smaltato. Nitido e impalpabile. Ed anche Possenti combatte col vigore immaginifico dei suoi quadri la piatta violenza del vero, del reale. La poetica pittorica di Possenti è stata definita da Aldo Busi “scanzonata”. Definizione sicuramente opportuna, anche se, a ben pensare, è possibile combattere la violenza del presente anche con il braccio di ferro giocoso ma non meno determinato della fantasia, della costruzione di una dimensione ulteriore, icona della realtà e a sua volta filtro, barriera, meta spostata al di là di nuovi orizzonti, dimensione in cui il colore si fa metafora e la metafora colore.
 In questo ambito, in questo spazio sospeso tra aspirazione al cambiamento e radicamento tenace all’esistente, tra parola vissuta e parola ricreata, forma del vero e ombra policroma del possibile, Fusi ha trovato un respiro affine, i segmenti e le linee di una visione apparentabile.
 E’ così che dalla vasta mostra di Possenti nella Sala delle Reali Poste alla Galleria degli Uffizi Fusi ha scelto quindici quadri, ha operato un’attenta selezione, o meglio ha “rubato” al maestro lucchese quindici dei suoi lavori più significativi. Perché, come sostiene T.S. Eliot, l’artista vero ruba non prende a prestito. Ruba in quanto fa completamente suo il testo o l’opera a cui si ispira. Diviene lui stesso quei soggetti, quelle parole, quei sogni.
 Il sogno, ancora una volta, ineluttabile parola chiave. Ed in questo ambito Fusi ha inserito i suoi versi ed il suo sguardo. Versi, quelli del volume “Nel ricordo d’antico sogno” che parlano dell’uomo, imperfetto, misero, ma imprenscindibile, eternamente sospeso tra il fango e un progetto di cielo. L’uomo, quella “folla invisibile che ruba ossigeno/ al sogno del poeta”, oppure, in un ritratto ancor più crudo tracciato dai versi di Fusi, “quel bestiale danzare d’ululati”, metafora di ataviche e mai accantonate violenze. Ma c’è anche, non meno solida e vorace, la speranza. Il senso, o almeno l’anelito ad una meta, una misura. La volontà di affondare la somma di faticosi passi “nel senso perpetuo/ del proprio cercarsi”.
 Il sogno dunque. Torna, come in una vasta “ring composition”, a chiudere e a tenere vivo il discorso e il percorso, la fertile sinergia che lega linguaggio a linguaggio, immagine ad immagine, il tratto pittorico alle metafore e alle metonimie. Il sogno che, anche per Fusi, si fa colore, disegno sfumato ma fertile di presenza e resistenza. L’umano esistere, il più intricato dei misteri, il dubbio, il volo, la galera, “vastità della fuga/ ancora demone dell’uomo ferito”, ma anche, come recita emblematicamente il verso che dà titolo e misura all’intero volume, “ancora vivo nel ricordo d’antico sogno”.  

14 settembre 2003 


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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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