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Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche
Emilio Piccolo, Oroscopi
di Domenico Cipriano


Emilio Piccolo: Oroscopi, con immagini di Anna Maria Pugliese
Fermenti, Roma, 2002, pag. 80, € 10,33
 

Si presenta con il tono colloquiale di un diario – anzi, potremmo parlare di un “confessionale” per essere a passo con i tempi – questa raccolta del napoletano Emilio Piccolo, edita nella collana “Assurdo e familiare” diretta da Vito Riviello per Fermenti. Ho citato l’idea del “confessionale”, visto che c’è tutta l’attualità fotofilmata dai mass media o da passaggi rapidi lungo le strade cittadine come sfondo a queste riflessioni notturne o essere oggetto delle osservazioni-provocazioni che fluiscono in questi 15 “Poemetti” (come li chiama Riviello). In molti frammenti l’autore si sfoga con toni anche forti, per lanciare il suo grido di dissenso sul mondo che lo circonda, ma contemporaneamente cerca di confessare a quella sola interlocutrice verso cui ognuno vorrebbe parlare di sé all’infinito che “l’unico modo di vivere / ed amarti / è scrivere poesie”.

“C’era la luna la notte che è morta mia madre” (pag. 9), questi versi aprono lo scenario del racconto che documenta scoperte dettate dall’esperienza interiore e dai sentimenti: “E mentre baciavo il suo volto che si faceva freddo / ho sentito che la morte non è la fine di tutto” (pag. 11), e ancora “Ho spento la luce e nella stanza buia / ho sentito che non ero solo, / come lo ero quando ero bambino” (pag. 77). Troviamo richieste, momenti di dolcezza che hanno fonte nel dolore e mostrano l’esigenza di soddisfare un bisogno interiore attraverso la passione più pura: “amore mio / ho fame di te come l’aquila di Carver del merluzzo”. Ma c’è soprattutto la volontà di disincantare il dolore, cercando nuovi interlocutori, ammettendo che c’è la smania di vivere anche se la vita si presenta come una moda che ci sta stretta, o che non sappiamo indossare, perché si sente sempre il bisogno di identificarsi in qualcosa, anche se questa non ci appartiene. Ciò perché la voglia di sopravvivere si presenta sempre quando siamo asfissiati dal dolore e torna il bisogno di sentirsi amati e sopportare la vita di cui entriamo a far parte: “ma io voglio vivere anche se marx non va più di moda […] ma ora voglio essere il primo a entrare nel futuro […] ma tu amore dammi ancora un motivo per odiare / questa libertà di fabbrica che mi ubriaca”, nonché la volontà inconscia di rinascere: “ma tu amore dammi da mangiare / ho ancora da succhiare latte dai tuoi seni”. Rinascita, ma forse più intensamente “reincarnazione” – come sottolinea acutamente Vito Riviello nella prefazione – la necessità di reincarnarsi in differenti realtà del mondo, attraverso volti, corpi, anime.

L’autore è coraggioso a mettere in scena questi versi il cui andamento generale ricorda un blues, casomai da cantare in metropolitana la sera, visto che la raccolta si caratterizza per un linguaggio attuale che non disdegna parole italianizzate dall’anglo-americano o dal francese. Anzi a tratti il bisogno di essere diretti e confidare momenti di “sdegno” fa utilizzare all’autore parole scurrili entrate ormai nel linguaggio comune, che ben si inseriscono nell’oralità dominante di questi testi.

Ma dal titolo “Oroscopi” comprendiamo come i versi sono scritti per un futuro, ed ecco che a tratti si presentano come un testamento, la resa di fronte alla vita, un riposo dopo una fatica, quasi con la voglia di cedere il testimone e il bisogno di sottolineare che il percorso dell’autore può indicare già delle tappe stabilite di cui egli è consapevole: “che sia mio figlio a disporre di ciò che ho scritto / ne faccia ciò che vuole” (pag. 27). Ecco quindi una nuova faccia della reincarnazione cercata dell’autore, che è nel bisogno di lasciare una eredità d’intenti.

Completano il volume delle immagini ritratte da Anna Maria Pugliese; volti di donna nelle cui espressioni riusciamo a leggere i versi del nostro autore.

17 giugno 2003 


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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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