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Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche
Luigi Durazzo, Rosa dei venti ed altri versi
di Raffaele Piazza


Luigi Durazzo, Rosa dei venti ed altri versi
Edizioni Valtrend, Pozzuoli, Na 2003, € 12,50, pagg. 80


Il presente testo di Luigi Durazzo, scandito nell’eponima sezione Rosa dei venti e nelle altre, Esodo e Sole maestro, rappresenta, come dice Luigi Fontanella, l’opera più matura dell’autore di Monte di Procida e ha anche un carattere di strenua denuncia. La poesia del nostro è prensile e fortemente mediterranea pare essere sempre imbevuta dei luoghi caratterizzati dal mare e dalla sua forza erosiva negli scogli, nella pietra e nei sentimenti degli uomini, come già avveniva nel libro precedente Poesie del Mediterraneo, Terra Murata e Sole Maestro, pubblicato nel 2000 con lo stesso editore.


In questo testo il lettore s’immerge con una partecipazione più riflessiva che emotiva e i versi si aprono all’ebbrezza e al dolore come due estremi di una forte polarità di sensazioni: pare che il tempo si sia fermato, che la Storia non esista, eppure il dolore e la gioia si alternano e c’è un forte senso della fisicità delle cose.


Pare che ci muoviamo alla ricerca del quesito ontologico e lancinante più importante per l’essere umano e tanto più dell’uomo-poeta: dove va l’uomo?, dove va la poesia?, una materia magmatica, quella dei versi di Durazzo, che pone il lettore di fronte ad una poesia che, caratterizzata dalla chiarezza, ha una valenza fortemente filosofica, alla ricerca di un’origine, di un principio primo, come poteva essere quello dei presocratici: c’è una tristezza di fondo, un brivido, il richiamo perentorio ad un mondo dilapidato dalla guerra e forse dall’inquinamento.


Leggiamo il componimento Furore tratto dalla sezione Esodo:-“ Gli astri piangevano la volta/ erano lumi accesi/ sul fiordo di Furore// Ci soffermammo/ per interpretare un segno/ la furia di Nettuno/ che dalla cima nitida/ d’uno stellare indecifrabile/ approdava in quel remoto anfratto/ breve naufragio di tutto l’universo.// Profumava di calce il lamento/ quel morto posto in una stanza/ foderata di lino e di sudore/ e qualche suppellettile/ per il lungo viaggio.// Un capriccio solare scarrocciava/ tra i flutti del dio marino/ e ti spingeva gonfio nella gola/ istoriata di case sbilenche/ che ancora si ritraggono/ come dei vecchi pescatori// Fuori del tempo sull’umida sponda/ giocavano i fanciulli/ immortali/ tra i ciuffi d’alga/ e le bianche ginocchia/ di Silfidi orgogliose”. In questo componimento pare stagliarsi un’aria di magia quando si parla d’interpretare un segno e si viene a realizzare un senso cosmico che pervade il lettore e lo affascina: c’è un luogo chiamato Furore che s’innesta in una mitologia classica: c’è dolore irredento, c’è speranza nell’immortalità (vedi i versi giocavano i fanciulli,/immortali/ tra ciuffi d’alga/ e le Silfidi orgogliose./

A livello stilistico, lo stile di Durazzo è caratterizzato da un ritmo incalzante, attraverso il susseguirsi delle strofe sicuro e musicale; la dizione è rarefatta e sorvegliatissima e, da composizione in composizione, da sezione a sezione, si crea un senso percepibile direttamente dal lettore di armonia scabra ed essenziale; proprio quell’armonia dalla quale è caratterizzato tutto il testo di Durazzo, che diviene fattore unificante di un’unità che si potrebbe dire poematica.

C’è, come dice Roversi nell’acuta prefazione, la ricerca di un senso da ritrovare in un’antica e ebbra armonia: dice Roversi:-“ Questi testi, come ho detto per me lettore, inducono a respingere la consolazione e la soluzione dei nostri continui compromessi comunque camuffati e (invece) ad allungare la mano su fuoco della verità, che non riflette altro, come uno specchio impietoso, se non il gusto ossessivo che l’uomo ha perpetrato(e continua, ritenendosi libero e assolto a fare) contro se stesso e contro questo mondo che sembra in disarmo: appagandosi soltanto e stringendosi convulsamente ad esso”: ecco dunque il senso salvifico della poesia contro un mondo dilapidato, un mondo che non è a misura d’Uomo e dove si sono perse le coordinate di un fattivo progresso.

Pur senza essere assolutamente vincolata ad un’immagine civile, quella di Durazzo è una poesia che sottende una forte capacità etica, una responsabilità che il poeta si carica su se stesso e che trasmette ad ogni suo lettore. Si sente fortemente, in questi versi una forte tensione verso il limite che è la morte,senso della morte che possiamo ritrovare esemplarmente, quando non è una morte privata, individuale, ma una morte collettiva, che getta il suo dolore atrocissimo, innestandosi nella Storia: è questo il caso del bel testo Hiroshima, racconto d’inverno, testo che ripensa alla tragica vicenda dell’isola giapponese, distrutta nella seconda guerra mondiale e collocato nella sezione Rosa dei venti:-“Radioso mattino d’un agosto/ è duro ricordare/ il corpo d’albero sfibrato/ in un diluvio che mutava il tempo./// Corrono nuovi calendari/ qui non racconto non misuro gli anni/ forse saranno gli astri a ricordare/ se tornerranno ad innalzarsi/ inni titanici inauditi pesi/ dal corpo fecondo del metallo…/: in questa poesia è stridente il contrasto tra il primo verso imbevutodi solarità tragica e il resto che si affida alla memoria con immagini agghiaccianti che rendono bene il senso della distruzione e del dolore che permane, attraverso il tramite della parola, il limite raggiunto attraverso la metafora.

15 giugno 2003 


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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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