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Poetry Wave

Recensioni e note critiche
 

Federica Marte, Orfeo è morto
di Raffaele Piazza

Federica Marte, Orfeo è morto - Lettere intorno a un’amica uguale (1997-2001)
Lietocollelibri, Faloppio (CO), pagg. 57
 

La presente raccolta di lettere è preceduta da una esaustiva e puntuale introduzione di Giovanna Frene: la poetessa e critica veneta ci racconta il background che ha preceduto la pubblicazione di questo testo: la Frene ha ricevuto un fascio di lettere da un suo carissimo amico, fratello della scrittrice delle missive, ragazza che si è ritirata per un certo periodo in una comunità buddista estera: la destinataria è una interlocutrice della quale veniamo a sapere solo l’iniziale del nome (D.). 

E’ da notare il lavoro filologico della Frene che estrae dal misterioso, e magico fascio di lettere, quelle più pregnanti esteticamente, realizzando una selezione difficile. Il filo rosso che lega queste lettere è quello del binomio tra morte poetica e morte amorosa: evidentemente tra la mittente e la destinataria c’è stata una relazione erotica che Federica Marte vuole storicizzare, quasi per rendere immortale, con un afflato classico, la pubblicazione che, invece che essere un requiem di un amore, può virtualmente, diventare una testimonianza, attimi di scrittura in senso heidegeriano, che il tempo non potrà scalfire, quasi che la Marte, valorizzando l’amore come momento forte, non per esibizionismo, ma per fine nobile, voglia dare, innanzitutto all’amica, e poi ai lettori una ragione di quanto è avvenuto tra le due amiche, anche se la stessa Federica ha molto sofferto per la separazione, come, per esempio, dimostra il suo ingresso nel monastero buddista, visto come rifugio dopo la vicenda della redazione all’opera stessa.

L’autrice delle missive scrive nella lettera premiale, programmatica rispetto al corpus completo dell’opera:-“Cara D., non nascondo la mia trepidazione nel momento in cui metto mano a queste lettere e decido di trascriverne alcune per la pubblicazione. Un epistolario si pubblica in genere dopo la morte di entrambi i soggetti della vicenda, specialmente se amorosa, soprattutto se uno dei due è un poeta. Trovare buste vuote e lettere inedite dopo decenni crea misteri inesplicabili o ribalta di colpo delle certezze sulla biografia dell’autore. Ma noi due, come si deve, siamo vive e vegete- così almeno credo… Qui viene in mente l’intento de giovane Goethe che, in epoca romantica, un’era agli antipodi con il nostro postmoderno occidentale, scrisse I dolori del giovane Werther come catarsi cosciente per un amore finito male: ovviamente qui le modalità sono diverse: c’è un passaggio di testimone dalla Marte al fratello, fino alla consegna del materiale nella mano della Frene, che magistralmente ha modulato l’editing di questa raccolta.

E’ particolarmente interessante lo studio sulla coscienza dell’amore che Federica fa nelle sue lettere, rispetto al più alto dei sentimenti tra gli uomini, quello che arreca più gioia e nello steso tempo sofferenza,, forse ancora di più se il sentimento è tra persone dello stesso sesso, come tra le due ragazze, in questo caso: scrive in uno struggente passaggio la Marte:-“ La vera dissipazione non è la sfrenatezza dei sensi, ma la passione della mente. E’ la mente che traccia nello spazio le diagonali del desiderio, le tangenti della passione, le rette parallele della disperazione. E’ la mente che collega le cose del mondo e le codifica poi in un misterioso atlante amoroso. Forse pubblicando queste lettere, rendo traducibile in parte il nostro codice passionale”.  Lasciare un testamento amoroso, attraverso questo epistolario, che scava nelle ragioni della capacità di amare conscia e inconscia di Federica e della sua amica. Oltre ai brani in prosa sono presenti nella plaquette anche delle vere e proprie poesie.

Come questa scritta il 20/6/1998 (fine primavera)

Amore e verità sono amici mortali?

E amore e poesia sono muti?
Dovunque sieda verità c’è silenzio?
Non parlare anche tu, non parlare per primo.

“A volte il pensiero di lei mi coglie e la sua immagine mi appare come in un sogno, e mi pare un sogno bellissimo che lei esista in quanto mai esistita, e mi pare un sogno bellissimo che lei esista in quanto sia esistita. L’immagine di quel primo incontro fra le porte del ***, quando ancora non la conoscevo veramente, e le sensazioni che ancora provo della nostra intimità vissuta, tutto questo associato al formarsi nella mente del sua sguardo, mi fanno vivere non so in quale tempo, o piuttosto in quale a-temporalità. E tutto è stato di una tale forza che, essendo lei presente, il pensiero non era in grado di pensarla, mentre nella perdita e nell’assenza esso lo scolpisce con una realtà suprema…”

E’ interessante sapere che la prefatrice Frene ha trovato solo una di queste struggenti lettere illeggibili, una curiosità che ci fa pensare a quanto importante sia la parola nel suo dirsi, nel suo articolarsi, nel suo distendersi in tessuto cartaceo, di quanto preziosa possa essere nei nostri attuali giorni occidentali ed europei, segnati fortemente dal transito di Internet ed e-mail, dai cellulari, dagli S.M.S., giorni che Plinio Perilli ha denominato del tempo ansante, i giorni velocissimi e frenetici della comunicazione in tempo reale, che aprono in ogni caso radure ed oasi nella quale la parola ancora impressa sul supporto cartaceo del libro, una parola che nello specifico di questa lettura si fa veicolo di idee, messaggio struggente nella forma epistolare, messaggio in una bottiglia che la Marte, nel suo rifugio nel monastero buddista, dal quale prima o poi tornerà, ha inviato all’attenzione, tramite suo fratello e Giovanna Frene, a noi lettori, sicuramente non per mero autocompiacimento, ma per donarci qualcosa, se è vero, come diceva Franz Kafka, che, nell’ipotesi paradossale della visione filmica di un uomo in tutte le sue azioni, di tutta la sua vita, dalla nascita alla morte, non si potrebbe scoprire nulla di quell’uomo, perché alla conoscenza si arriva col sentimento e quindi con la scrittura di autore, piuttosto che con la fotografia, l’immagine tout-court.


7 maggio 2003

Indice generale
Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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