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Poetry Wave

Recensioni e note critiche
 

Gilberto Finzi, La ventura poetica (1953-2000)
di Antonio Spagnuolo

Gilberto Finzi, La ventura poetica” (1953-2000)
Edizioni Fondazione Banca Agricola Mantovana, 2002, pagg. 146, s.i.p.

“Sono più lunghi, trascorrono più lentamente, per la nostra immaginazione e la nostra coscienza, gli anni della poesia o quelli della storia? La domanda – scrive Giovanni Raboni nella prefazione – è con ogni evidenza di quelle cui è impossibile rispondere una volta per tutte: dipende da quali anni, da quale storia, da quale poesia; dipende, soprattutto, da noi, da ciò che crediamo o speriamo”.

Vivere della poesia, o meglio ancora vivere nella poesia stessa, creando un mondo che agli altri potrebbe apparire utopico o addirittura inesistente, è con ogni certezza proiettarsi inconsciamente nell’eternità, quindi fuori del tempo, dello spazio e della storia, nel mentre tempo, spazio e storia tracimano la strada del quotidiano, offrendo al di fuori della metafora, vicende e fatti che la vita asseconda.

Gilberto Finzi è un poeta che ha sempre vissuto dentro il verso, lavorando ininterrottamente e senza mai stancarsi per una ricerca critica e creativa che fosse strumento di comprensione e di illuminazione, tracciando un itinerario personale estremamente ricco e affascinante, che qui ci viene offerto in un volume antologico, “pregiato”, edito dalla Fondazione Banca Agricola Mantovana , nella collana riservata alla biografia dei mantovani illustri.

Raggelando il bassorilievo che le remore ed i confini dell’umano stravolgono nell’intreccio di enigmi e trabocchetti, il poeta ripete:
“il filo tenue s’allenta sempre più
il corpo tiene alta la sua lira e la musica
raggiunge il livello dell’inondazione del ‘51
ma la mente è stranamente stracca, piena di
nenie, di altri oggetti del vivere,
di no e di si senza alcun senso e diversi tra loro
come contraddizioni che non contraddicono
*
è la mente il fenomeno rabbioso
la marea lancinante che non sommerge più niente-
scogli troppo lontani per raggiungerli, sabbie sporche
di vetri sprangati, acidi…” (pag.131).

Il contrasto ha una sua precisa funzione poetica consegnando al lettore, drammaticamente coinvolto e partecipe, una ulteriore illusione di disincanto, per non rimanere ai margini di quel che risulta essere il riconoscersi ed il realizzarsi  nel pensiero contemporaneo: un mondo esiliato e misero a cui è stata negata la interpretazione lirica divenuto ambiguità e tristezza.

Limpidezza e concisione distinguono il fare poetico di Gilberto Finzi, il quale sin dai primi volumi ha curato con incrollabile determinazione la identificazione emotiva del timbro esistenziale, riuscendo a stendere pagine di autentica armonia per ogni stagione del suo percorso.

Non ponendosi con estraneità verso la storia riesce ad intendere i luoghi della mistificazione retorica, riesce a battere il rifiuto del conforto e delle certezze entro le occasioni del contrappunto/coincidenza inteso laicamente come intermittenza assoluta al dispetto della “verità”. 

1 gennaio 2003

Indice generale
Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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