Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Il “cuore”: il “dolore nella stanza”. Per Amelia Rosselli.
di Massimo Sannelli



 Primi appunti, su un’‘altra’ cosa, in parte. Il corpo nudo e fotografato di Francesca Woodman è l’icona di un pezzo del gioco d’amore tra ‘arte’ e ‘vita’: la consustanzialità – e dunque la compresenza – di grazia (bellezza, “occhi celestiali”, “maestà”) e furia (dolore, passione), che l’artista (il/la poeta, il/la fotografo/a, ecc.) può stilizzare nella forma del volo e in una parola enorme: angelo. Lo scambio di sensazioni è aspro: “Rimane, uscendo dalla mostra, la sensazione di una grande urgenza di esprimersi, quasi la fotografia fosse un urlo o un lamento o magari servisse come le ali di un angelo per volar via”, come accade (Rocco Moliterni, Woodman. Fotografie di un angelo caduto, “ttl”, 1196, 5 febbraio 2000). La libellula di Rosselli dovrebbe riunire le stesse aspirazioni, dalla libertà di vita e di composizione (il poema deve “evocare il movimento quasi rotatorio delle ali della libellula”) al “tema della giustizia ebraica” (nota per la ristampa della SE, non ripresa nel volume Garzanti).
   L’angelicità di un certo tipo di unione del “cuore” all’arte deve consistere anche in una posizione adorante e protettiva di fronte all’Altro, uomo o Dio. L’angelo, che è poeta, sarà doppiamente amico e servo, tra terra e cielo; e alato: quindi, contemporaneamente incondizionato, volante, ecc. (la “libellula”, come programma di vita intellettuale e d’arte), e non libero e offeso proprio nel bisogno di apertura e dono (di sé) all’Altro: che è adorato e, laicamente, ‘santo’; in quanto tale, produttore di libertà, nello scambio del dono e/o nella “resistenza” (di Dio: dell’Altro) al “cuore” della poesia (cfr. nella diversità, e nella potenza-bellezza della sua scrittura de amore, Itala Mela, Amare l’amore, Mondadori, Milano 1998).
   Il gesto d’autore va avanti, mediando: il vero argomento della vita scritta (fotografata, ecc.) sarà il trionfo della “tua” presenza e la disgrazia della “tua” assenza, o del “tuo” rifiuto di “me” (della “mia” offerta di lavoro creativo e di “anima”): “Tu non appari a chiarire il mistero della / tua non-presenza, tu non stimoli i fiori / in corona attorno al mio polso, rotto perché / non posso tenerti vicino” (Serie ospedaliera; nello stesso testo il giorno è “spaccato in mille schegge”, che ritornano in una poesia vicina, con orrore: “Attorno a questo mio corpo / stretto in mille schegge”, poi “mille paludi”); “Sì, scrissi finalmente cose belle, tutte / per te – non v’era pubblico più disattento”, “compari, scompari, poi / non sai nemmeno se // hai qualche interesse a incoraggiarmi” (Documento). La presenza del cuore nelle due lingue di poesia diventa un segno dell’umiliazione dell’“angelo”: in Sleep, “my heart fundamentally cold yet / it was before a stone of heat”, “my tuberculous heart”, “turmoil in my blood” (ma Tandello traduce “tumulto nel mio cuore”); nelle Variazioni belliche, “Cos’ha il mio cuore che batte sì soavemente”; in Documento, “quelle mie fibre nervose (il / gran cuore)”; “cuore d’erba” in Impromptu. Si tratta solo di esempi, che non succhiano più di tanto il corpus di Rosselli.
   L’“angelo” – religioso, metaforico, non confessionale – brucia (d’amore) per un presente-assente, divinizzato ma ancora umano, e uomo. Chi scrive il testo di Documento sulla passione (“La passione mi divorò giustamente…”) ha prima di tutto vissuto la fusione del “fatto vero” in lingua patita, e contemporaneamente il carico di vita immesso nella parola scritta – o pronunciata (“La poesia di parola e di voce propriamente dette era dunque ottimamente rappresentata dall’estraneità sospesa e fortemente espressiva nell’imperfezione sussurrata e lacerante del suo dire di Amelia Rosselli”: Alberto Bertoni, “il verri”, 1-2 [1987], p. 201).
 

  Dopo il “cuore” dell’Angelo, il punto del come porsi criticamente diventa essenziale. In particolare, la lettura dovrebbe raccogliere le ossessioni timbriche e semantiche (gli “elefanti”, l’“ottusità”, il “cuore”) e poi, forse, disperdersi in un secondo grado della “passione” scritta: come e perché nasce, con quali effetti si dispiega nel lavoro, con quale potenza deve essere intonata; cioè – in termini di ricerca musicale – costruire lo strumento adatto alla nuova musica (La serie degli armonici [1953-1977], nello stesso numero del “verri”, cit.: pp. 166-183); in questo caso ri-costruire e costruirsi la voce adatta.
   Il corpo di Woodman rimane questo segno – immagine e parola di contorno (“scarabocchi e commenti”) –, di sé (persona vivente) e di altro (quello che vive nel corpo della persona viva, distruggendola): nei termini di vita-scrittura di Rosselli, “io sono una che sperimenta con la vita” (La libellula), “io decidevo di esprimermi con maestà e furore anche se le parole assumevano a volte un contegno più che irrispettoso”, “quale nero profondo impegno nelle mie mestruazioni!” (Diario ottuso, 25/3/67). Poi la descrizione di sé perde gli ultimi residui di narcisismo. L’arte stessa diventa nuda e umanamente grande: la stanza di Francesca (le mattonelle, il muro, il fiore: il corpo) e il luogo del “dolore”, “ed è superato in parte” (Documento). Metaforicamente, e non solo, il/la poeta (il/la fotografo/a) è alata, rispetto a questo.


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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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