Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche
 

Emilio Piccolo, Oroscopi
di Antonio Spagnuolo

Emilio Piccolo, Oroscopi Ediz. Fermenti, Roma 2002, pagg. 80, €  10,33

Che Emilio Piccolo fosse un poeta dalle mille facoltà funamboliche tutti lo sapevamo, ma che, messosi d’impegno al tavolino, avesse voluto preparare una nutrita raccolta di versi, degni di essere assaporati nel migliore dei modi, io personalmente soltanto ora lo scopro. Non voglio dire che sino ad oggi egli abbia giocato  con la poesia, senza riuscire a produrre cose valide, o con essa abbia voluto meravigliarci ed imbambolarci, fra violente declamazioni o gioiose interpretazioni. Tutt’altro! Anche in quel modo egli era poeta di diritto.

Oggi, però, egli ci offre uno spaccato  della sua poesia che si lascia leggere con maggiore attenzione e che ci lascia abbagliati, sia per il magma dei contenuti, molto sofferti e molto profondi, sia per la cascata ininterrotta di versi, che risultano orecchiabili e fragorosi, o proposti in un narrato che diventa canto prorompente e provocatorio.

Il risultato è proprio quello di non agire nella finzione scenica o drammaturgica, ma di lasciarsi turbare dalle immagini sottomesse al significato irriverente del rifiuto. 

“Bene, lo confesso:

non mi è mai piaciuto Manzoni,
Strawinscky, Ciakovsky, Montale, Saba e Ungaretti,
non mi piace Benigni, Troise, Pino Daniele…(pag. 47)”

Gli istinti infantili e prematuri si mescolano al trasalimento della nostalgia in uno strappo della realtà che costringe l’autore alla distruzione di ogni e qualunque compromesso con la realtà stessa, così da tentare approcci che lusingano o interruzioni che possano allontanarci dalla nullificazione:

“C’è il nulla da cui si fugge, e c’è il nulla verso cui ci si dirige” scrisse Simon Weil – sottolineando che dal nulla si fugge con il principio della vita, la nascita, l’arrivo, la presenza, l’impegno, l’azione, la creazione, e verso il nulla  ci si dirige con la distruzione, l’inerzia, la rinuncia, l’assenza, la partenza, la morte, la fine. Ora il poeta o parla nella speranza di interrompere il “nulla” e quindi la “morte”, o tace nell’ombra dell’assenza, ove le metafore del nulla possono esser recepite nel silenzio.

La poesia di Emilio Piccolo nasce autentica proprio dalle stesse contraddizioni che lo distinguono nella vita quotidiana. In ogni suo attimo egli sente la precarietà del vissuto ed il suo canto non si congela nella epigrafe o nel mottetto, per trasferire il mondo sentimentale in passi elegiaci o romantici, ma si strappa le carni in lacerti sanguinanti, perché non ha potuto “dire” al padre - ormai già finito – tutte quelle parole o quelle frasi che ognuno di noi avrebbe voluto dire.

 “Se ne è andato, 

mi disse mio fratello la mattina alle 7,30
che gli portai il caffè in ospedale.
Io non capii subito.
Poi lo vidi là, dietro un paravento,
il capo riverso….(pag. 75)”

La temperie della disperazione ha una certa nettezza, un decoro che straripa nelle frasi buttate come onde sonore contro il muro della indifferenza dell’altro, il tentativo di trasferire la sconfitta nel processo dell’infinito , nel quale forse egli stesso non crede, si legge come irreparabile nostalgia del tempo perduto e del tempo che non sarà mai e poi mai recuparabile, qualunque tentativo noi azzardiamo.

“E’ tempo questo che si crepa in fretta

e le strade sono zeppe dei nostri sentimenti
masticati e sputati via,
così, mettiamoci l’anima in pace
gli oracoli esistono per parlare e hanno parlato
ora è solo una questione di interpretazione…(pag.23)”

La storia, che agli occhi del mondo non è altro che guerra fratricida o accaparramento di potere, o imbroglio a sfavore dell’ingenuo, per Emilio è un proiettarsi cinematografico di immagini che possono anche non interessare alcuno, una serie di contrappunti materiali contro la coscienza di chi è colpevole e non sarà mai punito, contro le infinite possibilità della vita che si chiudono dietro di noi senza lasciar traccia , contro la stessa poesia, struggente memoria del nostro pensiero, che non avrà mai alcun miracolo di riviviscenza, che non avrà la forza delle “lacrimae rerum”, che nello stesso tempo sarà simbolo e delusione.

La sua è una volontà storico/critica che può anche impaurirci per la  schietta lucidità, e la sua probabile verità.

L’inquietudine è nella sua posizione di rischio, secondo una formula che corrisponde alla insofferenza dei legami, nella sua tenace distinzione  del dubbio e del tormento, per una poesia che è tuttavia un impeto di amore che l’autore stesso ha timore di confessare, sotto il flagello della testimonianza autobiografica.

Il mondo di Emilio Piccolo è soprattutto molto complesso, è molto vario. Un mondo che egli cerca di distruggere con una strana forza autopunitiva, con una tensione aspra sulla quale fonda una moralità tutta personale, nel complesso tentativo di rovesciare quegli istituti su cui si cementa la società traditrice ed oppressiva.

Il “paradosso” per il poeta è nella diversità degli interessi, nella impotenza civile della poesia, nel lassismo tollerato della politica internazionale, nella convivenza del sentimento con la criminalità della indifferenza.

Allusioni, doppi sensi, la lunghezza vuota del tempo, i guizzi ed i drappeggi del fantastico o fantasioso, i tempestosi dialoghi, invitano all’esercizio sottile dell’intelligenza, così che questo ultimo lavoro poetico di Emilio diventa un gustoso dosaggio di catartica ambiguità allusiva.

Da non tralasciare in ultimo e non per ultimo le bellissime interpretazioni di Annamaria Pugliese che arricchiscono il volume con iconografie molto suggestive e determinanti.


29 luglio 2002

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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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