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Poetry Wave
 

Recensioni e note critiche
Antonio Spagnuolo: Rapinando alfabeti
di Eugenio Lucrezi


Antonio Spagnolo, Rapinando alfabeti
L’assedio della poesia, Napoli, 2001, pag.93
 

Nella sua vasta produzione poetica, accompagnata ormai dal corredo anch’esso cospicuo di un molteplice e spesso autorevole commentario critico, Antonio Spagnolo si è mosso fin dall’inizio all’interno dei confini di uno spazio di sperimentazioni ben definito, le cui coordinate sono nello stesso tempo linguistiche e gnoseologiche, cognitive ed emozionali. 

La poesia non può esistere senza restrizione, se per essa s’intende la riduzione dell’indefinito precipizio (dell’infinito?) semantico entro le guide o le gabbie, severe anche quando inapparenti, di un dettato ritmico o di un obbligato melodico, di una rima che insiste o anche soltanto di un rumore di fondo che affiora periodicamente sulla soglia della pagina ad imporre le sue disarmoniche. Così la versificazione di Spagnuolo corre le praterie dei lessici scientifici che appartengono alla sua professione di medico, arricchiti dei repertori psicanalitici e tra di loro articolati e connessi da apparati sintattici slogati eppure vivi, miracolosamente funzionanti nella vitalità precaria ed equilibristica che ogni volta ci stupisce quando ci fermiamo ad osservare, noi medici, i sistemi biologici.

Con voci siffatte Spagnolo arrischia in questo libro, capitolo per adesso ultimo di una scrittura che non riesce ad esaurire le ossessioni puntute che ne alimentano il durare, un racconto interpersonale teso e proteso tra personaggi fatti di carne che trascorre, la cui interlocuzione si affida alla sfida delle distanze, attraverso lo spazio ed il tempo che separa i soggetti, in chiusi spazi domestici illuminati dall’ accendersi improvviso dei particolari anatomici, dalla memoria e dalla nostalgia di una vicinanza, nello struggimento delle figure che trascolorano; mentre il prezzo da corrispondere alla parola che chiede di assumere forma nel verso è quello dell’estrema rottura di un ordito razionale, di un ordine relazionale fatto di rassicurazioni e di automatismi affettivi: < Disseziono parole per vendetta / confuso tra le crepe del silenzio / e gioco con le insidie di labbra. / Franano gli inganni su la storia / che attende / oltre il debutto della fantasia. / Tra persiane ed imposte / il tuo sibilo strozza i rami / della sera / sono un libro inferocito / sul racconto dei figli ormai impazziti /ed il mio nome strappa meridiane / avvinghiando l’insonnia alle pareti / …>.

Non c’è cognizione possibile in queste pagine, se non quella esistente nell’irritazione sensoriale di una volontà percettiva divisionista che si sbilancia ogni volta che tenta l’approccio dell’avvicinamento, per subito formare versi sdruccioli e ripidi, flussi rapidi di parole scoscese in direzione della visione che per un attimo ha impressionato la rètina, oppure le incerte quinte dell’immaginazione, i suoi scenari fantasmatici: < Incenso la follia delle mie lacrime / laddove inganna lo sguardo la penombra / per un autunno che scivola / così come le icone / che hanno il bagliore della memoria: / dietro le tende il voto di mio padre / per l’ultima goccia di vino / …>.

Il tasso emotivo di questa poesia si mantiene sempre alto, direi pericolosamente. Ma non soltanto perché Spagnuolo rischi ad ogni passo, e deliberatamente, la rottura, o la tracimazione. Il pericolo è già tutto nella materia espressa nei versi, già tutto nella dismisura di un esistere che non rinuncia a guardare negli occhi amore e morte, mentre a loro volta si fissano: <Prima ancora che la mia carezza / fra le tue dita divenisse nuda / la schiuma dei giorni, / le fontane, / le civette, / le parole di pelle, / fra immaginario e le celie / è il dipanarsi di un accorto suicidio. / Le tue mani di perfetto marmo /hanno la ruggine delle preghiere, / regina della notte / …/ Di zolfo il cielo rattoppa vibrazioni, /mentre il sole serpeggia / la nostra partitura. / Confondono pensieri le vertigini / rincorrendo uragani>.

 
5 maggio 2002
Indice generale
Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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