Vico Acitillo 124
Poetry Wave
 

Recensioni e note critiche
Aristide La Rocca, Scene Augustee
di Raffaele Piazza


Approdando ad un genere da lui finora poco praticato, Aristide La Rocca, continuando il ciclo dei Frammenti, brani poetici che hanno già raccolto numerosi consensi critici e caratterizzati da una evidente continuità a livello stilistico, con il Frammento LXXX, con esiti felici, ci presenta una breve sceneggiatura teatrale ambientata nella Roma Imperiale tra il 30 a.C. e l’8 d.C. e anche a Nola, (luogo dove vive lo stesso autore e dove ha sede la sua rivista Hyria), il 14 d.C.

La prima caratteristica che il lettore, fin dal primo impatto, e poi per tutta la stesura dell’opera può notare, è la sorprendente capacità di La Rocca di costruire, con apparente facilità, quasi come se si trattasse del linguaggio dei nostri giorni, un parlato quotidiano, una lingua sorprendente, dotata di una fascinosa patina di arcaicità e modellata su un sistema ritmico e metrico di raffinato spessore, frutto indiscutibile di cultura umanistica e di creatività che trova la sua radice in un amore profondo per la Classicità. Non credo che sia azzardato affermare che un’altra sensazione che si può provare leggendo il testo, tanta è la bravura di La Rocca, d’immedesimarsi in quel tipo di scrittura e in quella Storia, è quella che l’opera sia non altro che una traduzione di un brano di letteratura latina finora sconosciuto che, per nostra fortuna, ci sia capitato da leggere.

Tuttavia, nel penetrare più profondamente nel senso espressivo di Scene Augustee, si constata, dato saliente, la modernità assoluta dell’impasto linguistico che La Rocca è riuscito a produrre, la sua originalità espressiva e affabulatoria, per cui ci si rende conto che il testo è imprescindibilmente legato alla officina poetica di La Rocca e, pur pervaso da una forte aurea classica che l’autore felicemente evidenzia, è opera dell’inizio del Terzo Millennio, è testimonianza di una vena fertile e felice che, dal passato al presente, si riesce a riattualizzare.

Notevole anche la fantasia ordinatrice di La Rocca nel proporci un intreccio compiuto e coerente pur nella sua brevità, dal quale emergono pure caratteristiche salienti dell’epoca augustea e della latinità in generale, attraverso i dialoghi accurati, corredati da esaurienti didascalie. Il sipario si apre (con il Prologo), con una scena ambientata nella villa urbana di Mecenate, durante un banchetto per festeggiare l’annessione dell’Egitto all’Impero Romano, la morte di Antonio e Cleopatra e il trionfo di Ottaviano: pare un’apoteosi della poesia stessa e dell’invito al piacere del vino e dei cibi raffinati e, non solo Orazio e Mecenate, ma anche tre altri poeti non definiti, partecipano alla gioia collettiva: anzi, lo stesso Orazio che, ovviamente non rinuncia al nunc est bibendum, si fa ispiratore, per bocca di Mecenate, di una gara poetica destinata al prossimo banchetto, per cantare la vittoria romana. Dopo il prologo, il tono della narrazione si fa sempre più drammatico, prima con la tristissima notizia che un messaggero porta ad Ovidio, della morte per suicidio del poeta Cornelio Gallo, poi con il delinearsi di intrighi, tradimenti e congiure ordite ai danni di Augusto che, alla fine, vecchio malato e addolorato da troppe contingenze muore, non prima di un riuscito e toccante, nonché fortemente misterioso, colloquio con il fantasma di Cesare. Notevoli anche le parti di carattere erotico, nelle quali è protagonista l’ormai anziano Ovidio con le sue amanti, impegnato a nascondere i suoi amori illeciti e, anche nell’ebbrezza dell’eros tormentato da pensieri politici e di vario genere.

La Rocca è quindi riuscito pienamente, con le sue Scene, a far rivivere la Storia e la Poesia, filtrate con raffinatezza e fantasia, dalla sua sensibilità di poeta.


29 dicembre 2001

Indice generale
Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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Otto Anders