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Poetry Wave
 

Recensioni e note critiche
Intervista a Milo De Angelis
di Monica Citarella


Insignito del Premio speciale alla carriera, Milo De Angelis non tradisce quella sua composta riservatezza nemmeno quando riceve la medaglia d'argento. Nel rutilante frottage del gala conclusivo del Penisola Sorrentina, la lettura della poesia 'Semifinale' introduce una tinta pastello, sicuramente non luminosa. E' un verso tormentato da una punteggiatura che costringe a pause continue, uno spartito dove le battute sono scandite dal respiro e nelle pause s'intravede il tesoro di una verità esistenziale, che si può cogliere appena, solo per negazione perché negando si afferma. Come in latino. Quella deangelisiana è una poesia che si staglia per fendenti metaforici e che appare come un continuo tentativo di guadagnare terreno rispetto a un mistero avvolto nella 'scighera', la nebbia più fitta, come la chiamano a Milano. De Angelis è un poeta dai tempi lunghi, tetragono ai suggerimenti della cronaca. La sua produzione - che comincia nel 1976 con Somiglianze e passa attraverso Terra del viso (1985), Distante un padre (1989), Millimetri (1993), fino a Biografia Sommaria (1999) - è un enorme solido geometrico ricco di corrispondenze e richiami interni secondo la migliore tradizione simbolista, costruito con un rigore tecnico che non ignora l'uso sapiente delle iperboli, dell'anafora, delle rime interne, delle assonanze e delle allitterazioni e coeso da un'ardita tensione analogica. Una compattezza monolitica che si ritaglia lo spazio esistenziale di un'inesausta ricerca, intrinsecamente aliena dalle tentazioni del minimalismo, mediata da una realtà urbana, peculiarissima come quella della metropoli milanese.   

Donatella Bisutti ha scritto: "Milano è una città più città delle altre: solo artificio, costruzione, invenzione dell'uomo. Questa infatti l'essenza della Città: luogo mentale, idea, concetto […] Milano è dunque la Città che si sostituisce alla Natura […]. Meccanismo, non creatura con i limiti di ciò che è creaturale […] Così a Milano si può vivere interamente racchiusi nell'elemento cittadino senza mai uscirne e questo alla fine dà una percezione assai più sottile della natura di quanto non accada nelle altre città". Lei, professore, è d'accordo?

"Sì, è vero che questo vortice della vita milanese, questo ritmo forsennato nell'insieme crea una strana calma. Io sono calmo soltanto quando la città si muove intorno a me. Quando invece mi trovo in un luogo calmo di per sé comincio ad agitarmi perché devo costruire io il movimento".

Che tempo c'è a Milano?

" Il tempo della precisione e del rigore, anche il modo di camminare dei Milanesi ha sempre una meta, uno scopo, è un moto rettilineo, breve che tende ad economizzare al massimo gli sforzi per raggiungere l'obiettivo prefissato. Quindi non ci si guarda, è anzi l'antitesi del passeggio che magari in altre città del nord c'è ancora. Invece Milano non è una città confidenziale e a me piace la grande anonimia del paesaggio metropolitano".

Allora se tutto ha uno scopo, anche lei se lo prefigge quando scrive poesia?

"No, questo proprio no. Poesia è anzi ciò che sfugge a un fine. In teoria uno cerca di esprimere sé stesso o anche di trovare attraverso la parola qualcosa di sé che non sapeva prima. Però poi ci sono tante deviazioni ".

Per quanto riguarda la poesia che tipo di circolazione c'è a Milano?

"Milano è proprio la capitale della poesia italiana e lo è da sempre. Tutte le antologie, le collane, le pubblicazioni più importanti si fanno lì…"

Allora forse è la capitale dell'editoria italiana, più che della poesia….

"Ma l'editoria porta con sé l'attività dei poeti. Tutti quelli che io amo in questo periodo vivono a Milano, da Franco Loi ad Alda Merini, a Maurizio Cucchi. Forse sono stato fortunato ad imbattermi in una Milano che è un continuo ribollire di fermenti, ricca di occasioni editoriali, di presentazioni, di momenti pubblici. E del resto è qui che è nata la letteratura moderna, da Parini a Manzoni, a Foscolo fino a oggi, ai poeti che frequento, Gian Piero Neri, Cesare Viviani, Maurizio Cucchi. Sono gli amici con cui condivido un destino comune, ma è sempre una frequentazione milanese, fatta non tanto di scambi di favore, do ut des per intenderci, ma anche di momenti non poetici, diciamo così. Spesso si va insieme allo stadio di San Siro a vedere il Milan o l'Inter".

Allora la poesia italiana sta andando bene?

"Sì, certo".

Anche se, a quanto pare, è molto 'milanocentrica'…

"Beh, ci sono dei poeti che stimo anche altrove, soprattutto a Roma e a Firenze. Devo dire che in ambienti campani non ho trovato ancora degli interlocutori. C'è una poetessa che prediligo particolarmente ed è Wanda Marasco, che però non è riuscita a diventare nota come meriterebbe. Poi naturalmente ci sono anche altri che ho ben presenti, Spagnuolo, Vitiello. Tra i giovani trovo interessante e ricco di proposte Carlangelo Mauro".

Lei ha fondato la rivista 'Niebo' che fa da contraltare alla poetica neo-avanguardista. Cosa rappresenta per lei l'avanguardia?

"Quanto di più antitetico alla mia idea di poesia, come essenza, durata, parola che chiede, urla, grida di conservarsi intatta, identica a sé. Con i suoi giochi sperimentali, col suo tenere in efficienza il linguaggio e la sua mentalità tra manager e marxismo ovvero le due cose che meno sopporto, è per definizione il transitorio.Noi di Niebo abbiamo creato una poesia che ha un rapporto con l'eternità,intesa non come mito neoclassico ma come qualcosa che si verifica nelle lancette dell'orologio, nel tempo cronologico perfetto che però tende oltre. Niebo è questo rapporto con i grandi poeti romantici, assoluti, del passato, una sorta di comunione dei vivi e dei morti".

La sua penultima raccolta s'intitola ' Biografia Sommaria'. Un titolo così accattivante suggerisce in qualche modo un approdo?

"Sì. Come un'esecuzione 'sommaria', cioè senza processi, così questa è una specie di biografia per grandi temi, saltando magari interi decenni della mia esistenza. Sono colloqui con le ombre della mia vita. Soprattutto è un libro impregnato di un silenzio originario da cui ogni parola tende faticosamente a slacciarsi. Non sono un poeta che parte dalla realtà, non sono Pasolini o Brecht, ma piuttosto uno che in Biografia Sommaria porta con sè tutte le sabbie mobili del suo arrivare a un frammento di realtà".

Ci sono molte nebbie nelle sue poesie…

"Sono un innamorato della bruma milanese, specie intorno ai navigli là dove si sprigionano quei vapori che rendono tutto più perimetrato, più circoscritto. Poi dalla nebbia sbucano all'improvviso i volti, ma non si vede mai interamente un viso, un corpo o un'anima. E' come la siepe de 'L'Infinito' di Leopardi, cioè un ostacolo da cui si scatena un decorso associativo".

Qualcuno ha detto che la sua poesia è pervasa da una sorta di disperazione esistenziale. E' veramente così?

"Biografia Sommaria non è un libro disperato. Certo ogni volta si fa una domanda essenziale per cui le risposte non sono mai capaci di completare la domanda. Però mentre in 'Somiglianze' del 1976 c'era davvero un interrogare brancolante, che navigava tra un vuoto e l'altro, in quest'opera del 1999 che qualcosa che comprende di più l'altro, ciò che avviene intorno".

Il dolore è un tesoro?

"Sì, solo il dolore dà questa capacità di spogliare la parola dalla propria vena superflua e corteggiatrice, seduttiva. Ti costringe ad una parola netta. In poesia bisogna essere molto netti per esprimere ciò che non lo è".

Vuol parlarci del suo lavoro di insegnante?

" Insegno in un carcere, tra detenuti che hanno alle spalle storie diverse, ma che sono buoni ascoltatori di poesia. In carcere la buona novella si diffonde meglio che nei rumorosi licei milanesi dove tutto si fa tranne che ascoltare. E' un luogo di estrema libertà, dove non ci sono ingerenze ministeriali e c'è un rapporto frontale, personale con l'essere umano e con la sua voglia di redenzione. Naturalmente in prigione ci sono anche gli inguaribili, non bisogna idealizzare i carcerati. Ma per quelli che sono incamminati verso l'espiazione e la purificazione di sé la poesia èuno strumento".

Come si dovrebbe, non voglio usare la parola 'insegnare', ma 'comunicare' la poesia ai ragazzi nelle scuole?

"Eliminando le note a piè di pagina e tutte le scorciatoie del senso, cercando di fornire un'eco alla parola poetica, e non una spiegazione in senso tecnico come purtroppo vedo nei pessimi libri di testo che circolano in Italia, sospesi tra gramscismo e semiologia, cioè le due peggiori linee della nostra tradizione. Manca invece una critica esistenziale che permetta un rispetto vero della lettera poetica" - conclude Milo De Angelis.

14 dicembre 2001
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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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