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Poetry Wave
 

Recensioni e note critiche
Dante Maffia, La poesia italiana verso il nuovo millennio
di Raffaele Piazza



Dante Maffia, La poesia italiana verso il nuovo millennio
L’assedio della poesia, Napoli, 2001, pagg. 263

 Il presente testo di Dante Maffia si presenta come uno studio sulla poesia italiana dal 1963 ai nostri giorni, nel quale si alternano recensioni e veri e propri saggi su nomi importanti del panorama contemporaneo. E’ proprio lo stesso autore, a fornirci i criteri compositivi dell’opera, usando la definizione di diario privato o di diario di lettura, indicando al lettore che non ci troviamo di fronte ad una trattazione sistematica, ma davanti a una raccolta di pezzi da lui pubblicati su una serie eterogenea di giornali di varia risonanza e riviste letterarie. Non manca però, per questo, una coerenza d’intenti data dall’approccio critico invariato che l’autore utilizza nell’analizzare i diversi poeti; inoltre l’autore ha la chiara coscienza di non potere esaurire, con questo testo, la presentazione di tanti anni di poesia italiana, e, quindi, esprime chiaramente il senso del progetto che continuerà con altri testi critici, con i quali, tra l’altro, colmare molti vuoti, soprattutto con la trattazione di nomi importanti, dei quali qui non si fa menzione.

  Perché iniziare dal 1963? Ovviamente per la nascita del gruppo ’63 che nel bene e nel male, ha condizionato, una gran parte della poesia italiana successiva. A questo proposito, sembra emblematica la recensione a La ragazza Carla, libro che risente chiaramente dell’atmosfera di quegli ani e di quella tendenza: tuttavia Maffia riconosce che, tra tutti i poeti dediti alla sperimentazione, e che si sono votati al panegirico della linguistica,, Pagliarani sembra essere quello meno portato a giocare sul vuoto e l’assenza, e la sua poesia tende a preservare il senso, la chiarezza, a ridare alle parole e anche alle cose un’adesione adeguata alla realtà in divenire.

 Poeta del tutto differente trattato da Maffia, a conferma della sua concezione che privilegia l’eterogeneità, è Carlo Betocchi con il suo testo Un passo, un altro passo edito nel 1967. L’autore riconosce, come cifra distintiva di Betocchi, una parola sorgiva ed elementare, rara nel panorama poetico italiano, nel suo amore sentito per le visioni naturali, rese con pacatezza e leggerezza. Il critico afferma che, contro ogni previsione, il poeta è riuscito ad andare oltre la sua precedente produzione da un punto di vista tecnico e stilistico, rendendo ancora più trasparente il suo dire, nel trovare parole ancora più vergini, più dolci, ancora più radicate alla realtà.

 Nell’entrare nel merito delle considerazioni su La Beltà di Andrea Zanzotto del 1968, Maffia non rinuncia a fornirci alcune sue sensazioni empatiche e personali su quanto va esaminando, rimarcando così quel carattere di diario di lettura e di lettura privata del quale si parlava: egli ci dice che il suo primo impulso è stato quello di abbandonare la lettura, ma poi la testardaggine prevale e comincia un corpo a corpo brutale con il testo e irrompe la volontà di diventare quei versi di Zanzotto per poter conoscerne la natura, il segreto, le intenzioni. Così Zanzotto si svela, e svela il suo voler diventare narrazione lirica, il suo voler entrare nel mistero delle cose e farsi cosa. Zanzotto vuole essere dissacratore con se  stesso, con la natura e con il mondo, però con la speranza intatta che la beltà trovi nuova linfa per rifiorire..

 Non poteva mancare, in questa prima prova di un’opera che continuerà, la presenza di Montale, in un lavoro giocato su un solo testo, che però trasmette rimandi e chiarificazioni anche ad altri parti della produzione dell’autore delle Occasioni. Questo saggio critico intitolato Ancora su Liuba, e che risale al 1981, è una lucida analisi, con uno sfondo anche politico, della travagliata complessità del personaggio Liuba che è l’unica superstite di una famiglia ebrea sterminata dal nazismo, e in partenza, come tanti altri ebrei per non incorrere nella stessa sorte. La grande forza e grandezza di Montale, in questo componimento, tra l’altro, consiste nel non indulgere nella retorica, nella pesantezza, come quella di tanti altri che hanno trattato questi temi. Montale, pur dimostrando sensibilità e passione civile, produce un testo vivo, musicale, senza mai indulgere in autocompiacimenti, restituendoci, in questo modo, la più alta prova di moralità e di senso del dolore autentico.

 Nell’analizzare la figura di Giovanni Giudici, con molta lucidità viene messa in luce, una caratteristica fondamentale dell’autore di La vita in versi. Afferma Dante Maffia che Giudici, è riuscito a trovare una propria modalità espressiva, una propria voce unica e personale, partendo dai suoi esordi, e che poi ha continuato su questa stessa linea fondante che si riaggancia con il reale attraverso le ripetute dicotomie: quotidiano-sublime, liricità-narratività, cattolicesimo-marxismo. In questo autore il quotidiano viene messo in versi, attraverso una cronaca poetica dell’esistenza, esempio emblematico di poesia d’occasione.

 Di Antonio Spagnuolo viene messa in rilievo, in primo luogo, la sua caratteristica di essere medico-poeta (o poeta-medico), con tutto ciò che questo comporta a livello di ricerca linguistica e, ovviamente, a livello di dimensione umana, visto il contatto con i vari stati d’animo dei pazienti. Ha sempre lavorato molto, Spagnuolo, sulla parola e sul discorso che, attraverso una continua ricerca, è approdato a risultati notevoli: sua caratteristica saliente è la nettezza espressiva coniugata, in perfetta sintonia, con i temi che tratta, capaci sempre di rinnovarsi di raccolta in raccolta, divenendo sempre la forma più distillata.

 Non è questa la sede per analizzare minutamente questo testo, che può essere un valido ausilio, sia per il critico che per il poeta, e anche per il lettore semplicemente appassionato di poesia. E allora attendiamoci gli altri libri della serie che Maffia ci ha promesso.

 
19 luglio 2001
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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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