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Recensioni e note critiche
Quale verità
di Antonio Spagnuolo



La realtà è quella che è. Va quindi vissuta e non rimossa.

Lasciando da parte tutte le novità geopolitiche che hanno destabilizzato alcune nazioni nel giro di pochi decenni (particolarmente concentratesi alla fine dello scorso secolo), le scienze fisiche e tecnologiche sono state la parte più ovvia del progresso, sottolineando lo spostamento degli interessi, l’emergere di nuove discipline, l’aprirsi di nuovi spazi di ricerca, la revisione di antiche etichette storiografiche o pragmatiche.

Non una specie di addormentamento delle valutazioni epocali, bensì l’invito, spesso, ad una sfida cinica, debolmente equilibrata, verso un futuro ricco di revisioni, entro le quali il mercato riesce a presentare culture diverse per diverse conquiste, e programmi differenziati per lo smarrimento dell’opinione pubblica.

Una forma di non rassegnazione al reale, una discussa traduzione della ideazione di mondi non veri, perché irreali, ma pur giustificati dalla immediata realizzazione del dubbio.

L’eclissarsi (insensibilmente) di alcuni valori tradizionali, il frantumarsi del sapere, l’emergere delle varie personalità politiche (incolte ed arroganti) , il succedersi sconsiderato delle classi dirigenti, non sempre capaci di sostenere gli impegni, hanno segnato la nostra umanità, e particolarmente il bagaglio ancestrale dell’occidente, con alcune stigmate ormai difficilmente cancellabili, quasi dovessimo ricostruire il mondo con energie creative non più in armonia con lo scibile o con la trascendenza, ma con l’autoannullamento di un dio, che precedentemente ha sostenuto le sorti di una umanità alla deriva.

L’inganno politico, che appartiene alla logica del potere, diviene, senza apparire, la verità dell’uomo qualunque, il quale ha sottomesso la propria intelligenza, perché sempre più lontano dallo scibile, e dalla verità.

E’ sempre la “cultura” quella che riesce a sostenere le capacità intellettive ed organizzative dell’individuo, ma, purtroppo, non nascondiamolo, tutte le nuove generazioni, a partire dal 1968, hanno dovuto subire un lento degradarsi delle capacità informative e formative del corpo docente, a tutti i livelli. Così è che gioventù si adagia al nulla  per noia, per incoscienza, per imitazione di quella fiction, che viene riproposta dal video deturpando i fatti quotidiani, apparentemente senza motivo, fra autolesionismo  ed indifferenza esplosiva. Diffuse dai mass media le informazioni non hanno più il compito di istruire il soggetto, ma si propongono di sottrarre ogni libertà ed ogni autonomia.

Da un lato, con grande disprezzo del progresso, vengono soffocate quelle voci che ritengono di spiegare i ritardi entro i quali siamo caduti nell’utilizzo delle risorse energetiche o nello scandagliare le possibilità della manipolazione genetica, perché l’ignoranza non riesce a concepire l’impegno (intrigante) delle scelte e della ricerca.

Dall’altro la incontrollata diffusione del messaggio pubblicitario, ora più che mai immerso nel falso, affinché l’uomo di oggi ignori il segreto filosofico  più vecchio del mondo, secondo il quale “ per avere sempre di più si rischia di perdere di essere se stessi, per non essere più”.

Lo sviluppo economico sociale non ha proposto una eguale crescita sul piano culturale, che possa adeguarsi ai contesti internazionali, ed il pubblico della televisione ha appreso soltanto le capacità della violenza, della indifferenza, dell’erotismo ad ogni costo.

Incredibilmente oggi anche un’auto riesce ad eccitare il maschio (?) con le sue lucide nichelature o con le morbide poltroncine. Un pieno di benzina verrà offerto  da una bella fanciulla con un reggipetto merlettato, ed un cono gelato sarà sorbito con labbra e lingua, che ripetano senza tema quella che il caro Catullo appellava con il termine di irrumazio. 

Il coltello, la pistola, il pugno di ferro siano le uniche difese dentro il branco, a discapito della “parola” detta, del ragionamento, della disquisizione.

Il fenomeno attraversa aree sociali le più disparate in un intreccio capace di entrare in tutti i circuiti: dalla musica al cinema, dalle discoteche alla moda, per schiacciare le ultime confuse risorse della civiltà.  
  

Il termine chiave sul quale dovrebbe imperniarsi la riflessione contempla la coesistenza di competizione ed altruismo, verso quella perfettibilità umana sulla quale si potrebbe reggere ogni residuo di sagacia politica, dal comunismo al cristianesimo. 

Gli esseri umani sono in fondo frutto di processi evolutivi, per cui gli antagonismi ed i conflitti non troveranno mai una soluzione completa, in quanto la lotta per l’esistenza non potrà mai finire con un semplice giro di boa, oltre il quale appaia l’arcobaleno. E qui la necessità di rintracciare la violenza che è in ciascuno di noi, di soppesare la piccolezza del bagaglio conoscitivo, che ciascuno di noi ha costruito, di instaurare una riflessione di autocritica, per cercare di alzare le mani in un gesto inequivocabile, che sappia riordinare la straordinaria capacità dell’essere umano di gustare la tradizionale possibilità di essere uomo.

La coscienza opaca che una falsa religiosità ha preferito inculcare nella “verità” del sospetto, non può sdrammatizzare la consapevolezza di un “essere pensante”  che giunge ad ospitare in un tempo sia la”verità” che la “conoscenza morale” riuscendo ad intravedere quel che Sant’ Agostino riuscì a concepire nel suo concetto di persona, individuando un preciso rapporto fra Dio come persona e l’uomo, il quale appunto per questo “rapporto” si fa “persona”.

L’aurea mistica che circonda la psicoanalisi avrebbe la destrezza terapeutica, nel mentre la vera e propria rivoluzione culturale odierna, la trasformazione socioeconomica più appariscente la ritroveremo nel trionfo della New Economy, contro la quale credo nulla potrà la anti-globalizzazione, che si affanna in questi anni, così da sperare in un mondo virtuale teso, nel nome della universalità, a riprodurre conoscenza e fratellanza. 

Non si muore perché ci si ammala, ma ci si ammala perché fondamentalmente bisogna morire.

 
4 luglio 2001
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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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Otto Anders