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Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche
Spazio e parola
di Antonio Spagnuolo


Lo spazio della scrittura è l’unico strumento che immobilizza la rappresentazione per trasformare ciò che non si conosce in continua  ininterrotta lusinga di noi stessi, legame del significante alle sue diversificazioni, per permettere di condividere o di annullare la giustificazione della sopravvivenza.

E che accadrebbe in effetti se la parola si  potesse articolare, sconvolta, sempre più lontano dalla realtà?

Conseguenza dell’apocrifo,  sia pure virtuale, a traverso l’idea che l’inaccettabile è  pratica in forma del totale, incontro scontro con  l’esistente, molte volte incomunicabile, quasi ipnotismo ravvolto intorno al non dicibile.

Considerata come imperativo codice della espressione individuale la parola è un maneggio con il quale rinnovare la riproduzione dell’indicibile, perché rinchiuso nella metafora dell’inconscio.

Il legame tra il pensato e il non detto genera involontariamente la veridicità del significante, attraverso la qualità irripetibile di una sola “parola” ed in una violenza inconsapevole avente come senso l’oggetto per il soggetto.

-Credere, se  pure per un momento, che la parola scritta sia l’ultima possibile è cosa inconcepibile. 

Essa parola, nel virtuale che oggi ci circonda, promette di saper fare tutto all’apertura del medium tecnologico, insita nel cambiamento istantaneo della pagina, provocando ad ogni clic cambiamento di scena e modifica della significazione.

Qui non si raffigura nel mezzo del discorso come metafora di un paradigma di rottura,  bensì come progetto di una problematica post-strutturale che sappia  porre nel mezzo il discorso stesso. Vale a dire linguaggio per riferirci a ciò che è implicato nella definizione che lo “viola”. A guisa che per difenderci dal “virus” bisogna inocularlo. Infatti il riferimento ad oggetti non esistenti comporta problemi.

Temporalità della parola nella presenza, come mantenimento del movimento che si oppone alla parola stessa, attraverso l’esperienza della temporaneità.

Un gioco, quello della parola, che propone la poesia, sia in forza del messaggio occulto che essa promette , sia in virtù della comunicabilità fra poeta e lettore, acquistando risonanze diverse in fasi diverse. 

Segno da distinguersi dal silenzio, soglia che si differenzia dalla forma in quanto forma e che si apre al dettato  della parola altrui, ovvia e ripetuta, perché ovvia e monotona, ed altrettanto inevitabile, perché diversa dalla perfettibilità. 

“Pre-testo” per raffigurazioni e prefigurazioni, con il suono e con il rapporto dell’ambiente, tale da appartenere alla voce dello stesso accerchiamento dell’ ascoltatore, il quale viene spiazzato e quindi costretto a mettere in dubbio la metafora e consentire lo scambio del simbolo. 

Come è bello tornare alle comodità della propria casa dopo aver sperimentato usanze strane in luoghi strani, in contrade sconosciute. Ora che abbiamo conosciuto ed apprezzato, possiamo mettere tutto in marginale, e ricordare, per proseguire nell’arricchimento.

Parole picchiate, parole scandite, parole battute, parole inutilizzate, parole decantate, parole sui nervi, parole nel ventre, parole all’orecchio, parole inventate, parole misurate, parole alla gola, parole in attesa di una recitazione per non essere perdute nel vento, ma per essere ascoltate e godute con sospiro da fendere l’anima, nel crogiolo che geme “composto”.

 
4 luglio 2001
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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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Otto Anders