VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Direttore: Emilio Piccolo



Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
I poeti di Otto Anders


Angelo Maria Ripellino

   
Dove ci incontreremo dopo la morte?
Grande era in me l'invidia per i liberi
L'uomo misura e costura di tutti i sarti
Le trombe hanno bisogno di mani
Tu pensi che quando cresce il tuo male
Tutto possibile la domenica: una qualsiasi sorpresa



Dove ci incontreremo dopo la morte?

Dove ci incontreremo dopo la morte?
Dove andremo a passeggio?
E il nostro consueto giretto serale?
E i rammarichi per i capricci dei figli?
Dove trovarti, quando avrò desiderio di te, dei tuoi occhi smeraldi,
quando avrò bisogno delle tue parole?
Dio esige l'impossibile,
Dio ci obbliga a morire.
E che sarà di tutto questo garbuglio di affetto,
di questo furore? Sin d'ora promettimi
di cercarmi nello sterminato paesaggio di sterro e di cenere,
sui legni carichi di mercanzie sepolcrali,
in quel teatro spilorcio, in quel vrtice
e magma di larve ahimé tutte uguali,
fra quei lugubri volti. Saprai riconoscermi?



Grande era in me l'invidia per i liberi

Grande era in me l'invidia per i liberi,
quando non sfioravo la terra, perché mi portavano
come un re malato in un palanchino,
quando il Signore si rivelava volubile,
come un barometro pazzo, quando ero scontento,
come l'asino che porta il vino.
In quel tempo di turbini e di nubi,
di contumlia e rancura l'Angelo della Morte
scese sul mio patibolo a darmi occhi diversi,
perch nello sfacelo e nella mala sorte
con altre pupille, frantumi di specchio celeste, io scorgessi
la caparbietà del miracolo e l'orrore del gretto
equilibrio dei sani e la nobile, ahimé, poesia del soffrire.
Ma a che mi serviva questa veggenza cerimoniale,
se io avevo sete di vita banale
di ruvide cose, di semplice affetto?



L'uomo misura e costura di tutti i sarti

L'uomo  misura e costura di tutti i sarti,
di quelli dal metro falso, dei sarti allegri,
che storcono la bocca nel tagliare,
che hanno vergogna a toccarci nell'nguine,
dei mangiaspilli, dei grilli che saltano
dalla grondaia delle spalle al frusco della fodera,
e ci entrano dentro, ci scuciono e scorciano
con delicate cesoie.

Cerimoniosi ci avvolgono in palandrane babbuine,
in zimarre candte, in presepi di crespo sonoro,
in un tremolo di alpag, in gelatine
di lebbra sgargiante, nei drappi di Aronne,
carichi di melagrane e sonagli d'oro.
Son pronti a imbastire con bave di refe
e con cigolo di denti di forbici
un egitto festivo per noi radams distrettuali.

Ma noi tromboni temiamo le trombe del teatro,
spregiando il colore che avventa con arroganza di ulno,
e perciò, sarti, forniteci tuniche declamatorie,
toghe da baccellieri, quaresime, involucri eguali,
bucce, spoglie e sudari per condannati che aspettano
l'arrivo di Tamerlano.



Le trombe hanno bisogno di mani

Le trombe hanno bisogno di mani.
La lussuria ha bisogno di mani.
Anche i morbidi vasi di Tiffany, gli iridescenti,
hanno bisogno di mani.
La cera, i detriti, i decreti, le chiavi
hanno bisogno di mani.
I cartelli che voi inalberate
contro noi, contro tutto, hanno bisogno di mani.
La vecchiezza ha bisogno di un groppo di mani,
e i congedi, congegni squamosi di lacrime,
esigono sempre stantuffi di mani,
piccoli scialli di diafane dita. Mani che smaniano, mani irriducibili,
mani offese da guanti, mani flaccide:
infrenabili trottole, nibbi,
e un giorno teatralmente ghiacce.



Tu pensi che quando cresce il tuo male

Tu pensi che, quando cresce il tuo male,
si spengano i fuochi, le barche non prendano il mare,
si proibisca ai cani di latrare,
i figli si incantino come sculture di sale.

Oh no, lascia perdere. Osserva
la ghiandaia azzurra che ruba
il tuo ultimo cucchiaino d'argento.
Ferma lo sguardo sgomento
sull'estranea bellezza di questa caraffa in cui luccica
tutto il ghiaccio del mondo.


Tutto possibile la domenica: una qualsiasi sorpresa

Tutto  possibile la domenica: una qualsiasi sorpresa,
un'auto con amici fuggiti da un umido camping alpestre,
uno scroscio, uno screzio, una chiamata inattesa.
Sono deserte le scatole delle finestre,
dormono le qualità, le analogie, le diatrbe,
dormono la pecoraggine e la villana dei profeti,
e le colombine tornate dai balli. Ma tutto  possibile:
una fiammata di ebbrezza, uno scherzo al telefono,
la morte di un giallo uccellino ucciso dal freddo,
il passaggio di una nuvolaglia di crespo esequiale,
l'arrivo di un pittore barbuto da Praga. Tutto  possibile.
L'architettura maldestra del vuoto domenicale
si scompiglia e si amlgama come il mercurio.
Accada dunque qualcosa, perché la noia verde-malva
non accartocci il castello del cosmo in un disperato tugurio.


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