VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Direttore: Emilio Piccolo



Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
I poeti di Otto Anders


Alejandro Jodorowski

   
Ciò che non devo tacere
Viaggio al centro della ferita
Se non eri tu
Cosa sono disposto a sacrificare?
Di parlare tra loro gli dei non hanno bisogno
Siamo gli unici guardiani della luce
Se dalla mia voce potessi liberarmi
Vieni a me come brezza senz’uscita





Ciò che non devo tacere

Costretto a vivere ogni secondo come tornando

da un viaggio in cui non si è potuto trovare il tesoro,
di ritorno al presente, a casa, a mani vuote,
come se il fare fosse il da farsi,
come se trattenersi fosse smettere di essere
e l’unico modo di vivere fosse creare utopie,
Wittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus, disse:
“Ciò di cui non si può parlare, deve essere taciuto”.

Ma precisamente di ciò di cui non si può parlare bisogna parlare,
affondare la lingua nell’invisibile convertendo in specchio le parole,
navigarci dentro sapendo che sono barche senz’equipaggio,
senz altro interesse che l’enigma di chi o cosa le ha trasformate in fantasmi,
una presenza impalpabile ma densa che dobbiamo avvicinare con passi da cieco
in quest’universo dove tutto è approssimazione o miracolo di cera!

Con i passi d’un cieco che col bianco bastone fende l’ubiquo centro,
là dove palpita l’origine eterna che produce vita a fiotti.
Di lui nulla possiamo dire, ma propno per questo nell’oscurità è la nostra guida.
Se accettiamo l’ignoranza essa diventa lume:
sotto l’apparente vacuità si nascondono i divini splendori.
Benchè ora qui non resti altro che uno sguardo
qualche voce, qualche fugace bagliore, passi affrettati
che indugiano finchè non sprofondano nella polvere
e orme di piedi, di zampe, lunghi solchi lasciati da vermi d’ombra
larve che piangono, reclamano, esigono carezze da chi è privo di mani,
avvolti nel vuoto come in una fitta cappa,
crisalidi di feltro che aspettano di mettere le ali,
di popolare finalmente gli spazi della nostra eterna assenza,
dall’interno, tirando calci alla torre,
scaraventando fuori l’anello dai suoi muri
affinché si apra come un fiore d’oro.
Nudi in mezzo alla notte aprire la bocca
inghiottire i lampi che il cielo ci manda.
Ripetere la parola arcobaleno fino a raggiungere l’estasi
rendendola ponte fra una lingua morta e un vuoto vivo
dove si trova il non incarnato futuro
che annuncia il fine d’ogni speranza:
il ronzio delle mosche diventa la voce di Dio.
Se quello che cerchiamo non è qui, non è da nessuna parte!

Colui che ha perso le parole anche d’amore deve parlare:
con l’indifferente occhio sommerso in un universo di carne
di pelle e di marmo, di ardenti chiome e onde fluviali,
di luminose labbra che nascondono spirali d’ombra,
nel centro del piacere che assassina gli dei
scavare come una bestia ferita fino a trovare l’anima.
Capire che l’Essere è qualcosa che si consuma,
un falò senza legna che fiamme lancia dal sogno.

Traduzione di Antonio Bertoli


Viaggio al centro della ferita

Per quanto sepolto nelle tenebre della mente
percepisco un uccello di luce nei suoi profondi meandri
che lotta contro il rapace volo e m’incatena
alla legge della ragione. Intrappolato nell’angelico intelletto
non posso scontrarmi in quanto uomo con quello dell’uomo.
A mente sgombra allora, mai getterò alle ortiche
quest’urgenza salmastra di conoscere me stesso?
Dalla mia anima voglio solo ciò che è inferiore al cane,
lo sterile punto dove convergono gli ordini del mondo,
là dove sotto l’eterno cambiamento niente vive né permane,
tranquillo vegetando nel perfetto odio per la mia ombra.
Come assetato in abbondanti acque bramo l’assenza divina
esigendo che la causa dell’amore torni al permanente segreto,
che la sparizione dell’invisibile Essere Perfetto mi restituisca
la reale capacità di godere per le mie numerose ferite,
che il veleno del silenzio mi liberi dell’inumano futuro.
Ma quando penso “voglio” soffro e basta in realtà.
Oh compassionevoli padroni, allontanate da me il vero oggetto,
concedetemi quelli che falsi sono,
segrete piaghe che tra il corpo e l’anima scivolano,
passioni senza cura come serpenti senza fine
delle quali il cuore solo può essere responsabile!
Senza esser tormentati dalla verità o dalla bellezza
tagliare i lacci che all’amore redentore ci legano,
smettere di sentire, dire, fare, piangere, eliminare dagli occhi
la madre, da un trono indifferente guardarla agonizzare
come un glauco mollusco arenato sulla spiaggia,
affinchè cessi la febbrile santificazione del Sapere,
affinché la ferita sia solamente ferita
in una carne che d'essere necessità dell'anima rifiuta.

Traduzione di Antonio Bertoli


Se non eri tu

Niente passa però il mondo si sfuma
per sempre la rosa qui sembra restare
ma tutti i treni se ne stanno andando
nessuno che dorma nella mia cuccetta di fango
le radici del sogno sono altri sogni
Se non sono io, chi si veste della mia carne?
Se non è qui, da dove salpa l’illusione?
Se non è adesso, quando può essere l’ora?
Se non eri tu, cosa riflette la mia coscienza?
Nella sua stessa ombra naufraga il muro dell’anima
in basso il corpo striscia con le sue oscure ansie
in un mulinello d’acido l’io stesso si dissolve
la mente vaga aperta come un fiore di niente
Senza poteri dovrà abituarsi a vivere
ingrassando la coscienza come un tacchino natalizio
costruendo la speranza su falsi miracoli
dell’incomprensibile facendo la bandiera del saggio
agonizzare crocifisso nella penombra del presente
Se non c’è punto finale come parlare della nascita?
Se non eri tu chi illumina le strade del sogno?
Se non c’è inizio quando tutto ciò può cessare:
un diamante che per sempre naufraga nel vuoto?

Traduzione di Antonio Bertoli


Cosa sono disposto a sacrificare?

COSA SONO DISPOSTO A SACRIFICARE?
Mi recherò ai macelli per bere sangue di pecora?
In nero uccello mi trasformerò tra le fronde dell’ultimo albero?
Venderò l’ombra del matto senza chiedergli il permesso?
Muoverò le orecchie come un cane quando grideranno il mio nome?
Domine non sum dignus ut intres sub tactum meum
Lascio che la mia casa bruci per trasformarla in nave
Nel mio sepolcro la gloria dell’altro accetto
Cammino sullo stesso punto fino a farlo diventare un pozzo
Del dolore mi libero come d’un vecchio cappotto

Traduzione di Antonio Bertoli


Di parlare tra loro gli dei non hanno bisogno

DI PARLARE TRA LORO gli dei non hanno bisogno
è un coltello verde ogni parola che ci dettano
le loro lettere sono ventisei grumi di sangue
e una rete senza fili i loro idiomi sacri
che indifferenti attraversano invisibili pesci
Se il sublime è il picco dove sfuma la coscienza
un raggio che il leone addormentato sveglia in ogni pietra
per così poter cantare dovrei incendiare la mia casa
fino a vederla diventare un’aquila nera
che leggera s’innalza come viva tomba
Se nel chiedere non c’è inganno chiedo che la cecità mi tolgano
per morire nell’arduo cammino dei dieci splendori
Chiedo anche la totalità del respiro I polmoni riempire
col vento che soffia senza rivelare il suo destino
e nel centro di me stesso ritirarmi
in quei limiti che sono l’essenza del mio errare
Il crocevia dove sfociano tutte le passioni
dove solo il pericolo è senza limiti
e ad esso m’arrendo con un piede tra due alberi appeso
E’ forse la metafora l’unica nostra possibilità di far affiorare il sublime?
Sfuggendo il pericolo cancelleremo il lusso della nostra memoria?
Per arrivare primi ci forniremo d’un pungiglione di sarcasmo?
Ci butteremo nell’abisso o esalteremo l’abbrutimento e le bastarde imitazioni?

Traduzione di Antonio Bertoli


Siamo gli unici guardiani della luce

SIAMO GLI UNICI guardiani della luce
nel mondo che noi stessi ci siamo creati?
Dobbiamo continuare divorando i nostri figli
in un Universo dove l’altro è tenebra?
Quando smetteremo di bramare l’aldilà
sbattendo la testa contro la porta chiusa
che la nostra coscienza crea per eccesso di veglia?
Come si può continuare a vivere
quando tante tentazioni ci rinfocolano il desiderio?
Come liberarsi dal laccio che ci lega agli specchi
per entrare in solitudine nella città delle ombre?
Lasceremo che l’invisibile cacciatore per un secolo ci insegua
Indifferenti alla sua pioggia di frecce?
Legheremo il fiore d’oro con filo nero
per annichilire lo splendore dei suoi petali?
Viaggio di ritorno al porto di ogni speranza
da cui anche se il mondo percorriamo non salpiamo mai
procedendo nel futuro come bruchi che il frutto scavano
per arrivare al seme che la rinascita del passato promette
e lì la pelle lasciar cadere sì che si propaghi il profumo
che crea i corpi che lo esalano!
Ardere Incenerirsi in vita Carbonizzare la carne
fino a rendere puro il diamante e nell’agonia
lasciarlo tendendo un’ambigua mano
che mentre lo dona lo sottrae
e con esso nel nulla s’immerge!

Traduzione di Antonio Bertoli



Se dalla mia voce potessi liberarmi 

SE DELLA MIA VOCE potessi liberarmi
per attorcigliare la tua gola alla mia
e solo usare quell’oceano
formato dalle tue parole che nettare sono
per la mia lingua di orfano di vedovo di straniero
Se smettere potessi d’essere assente
per trasformare la tua anima nella mia patria
lasciandoti sentire per una volta
l’impatto mortale del mio silenzio
In fondo altro non sono che il ricordo della tua voce
Ogni volta che mi rifiuti
finisci di partorirmi

Traduzione di Antonio Bertoli


Vieni a me come brezza senz’uscita

VIENI A ME come brezza senz’uscita
per nascere in ciò che dalla ferita scaturisce
là dove non è più possibile nidificare
Umile e silenziosa t’abbandoni al torrente
libera non ti dici ma sai sorridere quando non chiedi
perchè tutto hai perso tranne te stessa
Entrando nel piacere ombra su ombra
io della tua pelle vuota, tu dell’oblio della mia anima
come sopravvissuti di tutte le guerre
ogni carezza è un uccello miracoloso
ogni bacio un parto
ogni orgasmo un Eden nel nulla

Traduzione di Antonio Bertoli


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