Breve il
giorno e breve l’anno.
Bene, e
allora?
Potevo morire
quel giorno
che avevo
trentanni e non sapevo
che ci
vogliono molte più pastiglie per farla finita.
Da allora
ho campato diciottoanni
sopravvivendo
alla mia morte.
Ho fumato,
bevuto,
e reso
pieni e vuoti i miei giorni a seconda dalle circostanze.
Sicuro
di non poter morire una seconda volta.
Né
mi importava se i capelli diventavano bianchi
e da 67
chili ero arrivato a pesarne 85.
Ho avuto
un figlio
e la pazienza
di amare e scoparmi una o più donne
e non amarle
e non scoparle più.
Ho visto
il mondo cambiare e restare sempre lo stesso.
Potevo morire
quel giorno
che avevo
trentanni e non sapevo ancora
che la
morte non è per i buffoni.
Da allora
mi sono svegliato
puntualmente
ogni giorno alle 6.30.
Ho smesso
di leggere e di scrivere.
Ho smesso
di chiedermi
cosa ci
fanno le formiche d’estate nella mia cucina.
Una volta
al mese, ogni mese,
il primo
mercoledì,
ho assolto
al mio obbligo
di credere
in qualcosa.
Non ho
mai sentito
che dio
stesse lì ad ascoltarmi.
In
verità
ho sempre parlato da solo. E ho finito per tacere.
Per
svegliarmi
ogni giorno alle 6.30.
Potevo morire
quel giorno che avevo trentanni:
Ne ho vissuti
altri.
Per essere
pronto a fare quello
che avrei
potuto fare anche a trent’anni.