Siamo
stati
sugli scogli, ieri.
A prendere
un po’ di sole e a sentire
come può
essere la vita quando ne hai mangiata abbastanza.
Curiosi
di capire se ne abbiamo ancora voglia.
Animali
feriti, incerti se rintanarsi per paura in un luogo sicuro
o andare
fuori a vedere se le stelle sono ancora lo sputo di dio.
Poi abbiamo
parlato di altro: del sabato sera,
e di com’era
buffo il grassone che sugli scalini, a occhi quasi chiusi,
ascoltava
un giovane di belle speranze che leggeva Carver.
Abbiamo
scritto qualcosa, su di lui e sulla coppia
che si
sbaciucchiava e si vedeva chiaro che avevano voglia
di altro.
Forse anche noi avevamo voglia d’altro.
Ma abbiamo
taciuto. Per pudore, non so, o solo perché
certe cose
vengono quando vengono, e non è detto
che sia
sufficiente uno scoglio o un po’ di sole
a farci
dimenticare che stiamo ancora soffrendo
per cose
di cui potremo ancora soffrire.
E così
ho finito per scriverci su una poesia.
Come sempre.
Ma è la prima per te,
e per questo
è un po’ speciale.
È
come andare in bici dopo quindici anni,
o sentirsi
goffi, e impacciati, al primo appuntamento d’amore..
Poi, mi
dico che questo è successo a migliaia di uomini, e donne,
prima di
me, e te. Mi dico che così va la vita,
e bisogna
essere proprio presuntuosi per credere
di essere
sempre e comunque fabbri del proprio destino.
Poi ti
vedo andare via, e resto lì a chiedermi
se domani
avrò il coraggio di chiamarti.
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