| Mio
padre, muratore ardente, pratico, pulito,
 tiene un braccio indurito
 come una leva, stanco
 oramai, leggero; ha le vene
 grosse, dove transitano
 le forze rosse e i dispiaceri,
il bene
 unico che conosce.
 E musico estemporaneo
                  alla pergola
degli Scotti,
 alle nozze
dei suoi fratelli
 magri e
crespi come i pioppi.
 Dunque sei tu, con quella guancia
                  se ancora la
tua casa,
 casa è
la nostra oramai,
 e sospesa in
mezzo al secolo
 ventesimo,
tra il popolo
 d'oro? la tua
casa e la nostra
 s'è
spanta nella nebbia.
 E la nebbia è come quando
                  tu le
palpebre socchiudi
 alla serena,
e sudi
 per sensibile
ripensando
 a una piova
di traverso
 sul largo di
Milano: e una torma
 di passeri
nell'orma
 pura delle
rughe, lume
 ove una
carreggia è un
fiume
 e un bosco le
lattughe
 alla morbida
misura
 della nostra
nostalgia
 conforme a
sottil costume.
 Là ho trovato pel tuo sangue
                  celtico una
luce varia,
 quella di
brina che lamina
 le tettoie
cariche d'aria
 nelle
domeniche quando l'anima
 rimane un po'
più in là,
 come una
primavera che langue.
 Con la bocca piena di sangue
                  e un lampo
nelle caviglie
 ti
scongiuravo: "Soffiami
 il naso, non
posso, se no
 sono fottuto
per sempre, sono
 vissuto, ma
vissuto adagio,
 fantasia,
malanno ed offesa!"
 La storia come lunga
                  sarebbe a
recitare;
 non ho fiato,
e la saliva
 non ci basta
a perorare
 questa causa
già perduta.
 Fu come in sogno, ed ogni
                  che torna non
ci trova
 più,
neanche la piova,
 neanche il
popolo dei passeri
 oltre dove
seguiremo
 a chiamarci
ancora dopo,
 anche dopo,
nella brina
 fresca e
ardita del cognome.
 Sì, la storia, la storia,
                  la storia
s'oscura:
 quel lacero
nel lobo?
 la mamma dove
tiene le boccole
 che
rilucevano al di là
del paese?
 Io ti narrerei del cuore
                  a caso? Ed il
cuore
 il cuore
dove? Chiamami,
 se per caso
non è tutto
 quel fruscìo delle falde,
                  quando i
carabinieri
 con le mani
larghe e calde
 nel diluculo
sulle melighe,
 furtiva colpa
della notte,
 furtiva spiga
nel tuo cuore,
 ti rapiscono
un fratello
 magro e
crespo come un pioppo,
 troppo piano!
 Sfoltisce la casa nei giorni,
e dirada;
                  foscamente in
seno piscia
 così
un passero di più
 che da lunga
piova torni e
 posi agli
orli della roggia
 dove tu
t'insogni folti
 i contratti
sindacali
 e la tua rosa
dei venti liscia.
 Addio, ma cercala, a più
non posso,
                  come cerchi
l'unità
 coniugale,
ch'è si ligia
 al tesoro
delle vene
 grosse, erte.
Ma cercala
 ancora,
perché nel tuo
corpo
 nostri passi
hanno creato
 l'uomo
fisico: un garofano rosso.
 Solerte fronte, come l'onda
                  del ginocchio
silenzioso,
 tutto mosso;
tonda e saporita!
 là ti
lambisce
 con memorie
la brina.
 Quella è una fina
                  Lombardia,
dentro e fuori
 del tuo
petto; resta rada
 e visibile la
schietta
 opera umana.
Quindi lascia
 e lascia che vada
                  come viene: i
tempi
 non mutano,
non mutan
 come il
vento, ma più
piano
 ancora,
perché nel tuo
corpo
 nostri passi
hanno creato l'uomo
 fisico: un
garofano sano.
 E musico estemporaneo
                  alla pergola
degli Scotti,
 alle nozze
dei suoi fratelli
 mio padre,
murator
 e ardente,
pratico, pulito,
 e sullo
stomaco un dito di pelo.
 Ma ogni notte ogni giorno
                  ogni nuvola,
perdiamo
 di vista, noi
due così
discosti,
 interamente
il medesimo cielo.
 Sai tu se l'anima
                  si unisce,
così giovane,
 così
sola? e si salva?
Io
 tuo figlio,
tuo ramo,
 immagino, ed immagino
                  dalle nostre
parti la brina
 e il latte e
l'aria di mattina
 sia una
cantata matta
 ma
un'armonia: un danno!
 Ebbene. Ebbene tu conosci
                  al giorno
d'oggi, proletario
 nel lume
della tuta,
 albe utili e
pure, di tempo
 in tempo.
Minuta
 è
l'ora che ti duole
 e dolce spira
in tutto
 quel che
arrivo a immaginare.
 Ma mi piace se il tuo universo
                  non è
mai, segretamente,
 sottonebbia,
un po' diverso,
 almeno, da
quello che è.
 Hai sempre una cosa
                  da ridere, in
tasca,
 un sacro
profitto, una frasca
 del
risparmio. Giocheremo
 quindi il
giuoco della vita
 con la tua
eredità?
 Qualche notte io gridavo:
                  "Tu, tu, ..."
 Milano
è un cuore
 mortale nei
fianchi
 della nebbia,
una ferita.
 Oh, non credi che risuoni,
                  Così crederò fermamente,in terremoto
o in giubilo
 il corno di
Roncisvalle,
 e come una
bandiera,
 di là
dalla tua moto,
 di là
dalla frontiera?
 mio padre, muratore,
 che tra la notte e il nubilo
 fiato delle castagne, fischi
 la tua moto monotona
 o veloce come il polso
 in costa alle montagne,
 ed una lancia arrischi
 il clakson nei galoppi
 delle melighe e dei pioppi.
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