VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Luther Blissett

Beatrice
My heart is full of troubles
Interventi



Ma non puoi sapere come andrà a finire

   
Una mattina di metà Aprile, fuori c'è il sole
ma stranamente in questa stanza c'è un gelo di pieno inverno.
Un uccello ha fatto il nido nell'incavo della persiana
ed entra nei miei sogni, petulante, svegliandomi prima dell'alba
e parlandomi a tradimento di te in una lingua misteriosa che non conosco.
Una montagna di lavoro mi attende al tavolo, ma stamattina
non ho voglia di lavorare e ascoltando gli assoli di Piazzolla ad alto volume
penso a come sia strano che i piatti nel lavello non si lavano da soli,
e che da un momento a un altro l'erba potrebbe crescermi sulle pareti della cucina
o la barba sul palato e le gengive,
e come lasciarsi andare sia l'unica cosa che mi riesca veramente bene.
Quell'"essere di nuovo felici inconsciamente" di Lawrence, letto non so più quando, continua a frullarmi nell'orecchio, insieme ai gorgheggi dell'uccello.
 
Ieri tornando a casa, le striature del tramonto rosso-blu-cobalto
mi hanno acceso di meraviglia come un quadro dell'Action Painting,
e ho sentito come la realtà sia più imprevedibile
di tutta la letteratura di questo mondo

e che le parole sono come porte o varchi nella foresta per i nostri sensi carnivori
a caccia di colori di là da venire ancora ignorati dalla spettroscopia umana,
per dipingere tele che saranno sempre cattive imitazioni dell'arcobaleno.
Poi, scesa la notte, la frizione è partita sulla superstrada e mi sono trovato solo,
le quattro frecce inserite, tra un lampeggiare di fari che mi bombardavano
da tutte le direzioni e le vibrazioni prodotte dai TIR imbizzarriti come mastodonti.

Non sapevo di quanto le strade fossero luoghi di una solitudine assurda
finchè non ho sentito un fiotto di sangue salato panico salirmi su per la carotide
e irrorarmi il cervello. Allora ho spento il motore, ho spento le frecce
e, rilassando la testa sullo schienale, ho lasciato che immagini di te
mi salissero su per la schiena come ondate successive di piacere-calore mammifero,
quasi mi fossi fatto una pera lì sulla statale, aspettando i soccorsi
che tardavano ad arrivare. Era un pò come se ti fottessi nel buio sul ciglio
della strada, in attesa che un camion ci prendesse in pieno e ci spazzasse via
nell'attimo del venire insieme, roba da Crash. Le stelle,
che non so se hanno mai provato tali sensazioni, brillavano con una disperazione insolita, ma mi rassicuravano, a modo loro, sul mio essere vivo.

Strano a dirsi, la calma che mi ha dato la visione
di una fine così  dolcemente cruda ha rallentato in me la tensione,
l'angoscia sterile di corse sparate di notte
su fatiscenti superstrade verso nessun
dove.
Alla fine, quando il carro attrezzi è arrivato, mi sono sentito un uomo nuovo
con i miei trent'anni passati, il mio vivere per cose inutili come la poesia,
l'amore che mi brucia dentro per te e ho capito che in questa mia inspiegabile mania
di suicidarmi giorno per giorno, non smetto di avvicinarmi a te e alle stelle.
E' stato allora che ho riacceso il quadro del cruscotto, sono sceso dall'auto
e ho detto, con la voce che mi tremava: buonasera.


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