VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Giancarlo Pandini

   
1. da questa altura azzeriamo
2. avremo neve e turbini
3. il coccio rotto, dal vaso
4. cascata di fogliami e fiori
5. qui le distanze vanno
6. Gioco
7. Doppio
8. Metafore dal vento
9. Vite, errori
10. Fede?
11. Sapevano tacere, certo, quando le rive
12. Adesso che la rugiada irride sui rami




1. da questa altura azzeriamo

da questa altura azzeriamo
prati verdissimi, muschi
del ponte e nel declivio
la strada polverosa che conduce
ai campi da tennis

due bianchi fantasmi si
ributtano una pallina

(potresti chiedermi ora
del sempiterno ego, dello sfascio,
dei tanti menefrego, dell’amore)

(ma non ti sfiora il sospetto
il dubbio d’essere già
a fuoco, nel centro,
nel mirino, cara?

   senti
qualcuno già spara)

2. avremo neve e turbini

avremo neve e turbini
se il vento rafforza
di là dai monti

   i silenzi padani
brinati come archetipi
d’una tremante stagione
scoppiano su un mare di ghiaccio

tutto qui è possibile
uscire dalle solite
dimensioni, anche smarrire
il più lucido
strumento d’analisi
trapassare nebbie
saltare croci e morti
amare
la quieta
essenza dell’esistere.

3. il coccio rotto, dal vaso

il coccio rotto, dal vaso
l’oleandro spunta
appena il vento
muove un fresco di campagna

ciò che sa morire e che torna
nell’estasi dell’alba, nell’attesa
di un silenzio che dilata
alberi fiori e prati
nella distanza accesa
del mondo

  forse qui
respira l’assoluto

4. cascata di fogliami e fiori

cascata di fogliami e fiori
spazio di muschi e d’acqua
che sgocciola e trilla mentre gira
in ghirigori strani intorno ai pini

(parla? ha una voce questo luogo
di lutti, tra sassi e croci bianche
e tombe dove durano
memorie?)
    vi muore l’invisibile
assolo di cicale nella calura
dietro un sole avvampante

(anche qui l’estate ritorna
come ogni stagione che muta
e trova i suoi giorni, le offese,
con voce d’acqua con lo squamarsi
delle foglie, tra i sempreverdi
immobili nell’estate che sale
con allegria)
 

5. qui le distanze vanno

qui le distanze vanno
da quinte d’alberi
a un filare di pioppi

i prati sembrano stellate
praterie di luce
   ogni evento
è come un conto alla rovescia
  o un grido;
attendo che si apra
l’ineluttabile, un dio
che sorrida o che rifiuti
anche un desiderio di voli
tra un coro di siepi sottovento
o un vaneggiare di fili, d’echi
verdissimi

6. Gioco

Era un gioco da folli e
come una calamita che
accentra eterno e tempo,
permette che un nucleo di grazia
infinita
sia universo che trascenda
la vicenda della nostra vita.

Era un gioco da folli e
come guardando indietro
l’ombra - la presenza di un me stesso
altro da me che mi recupera,
che allieta nell’ombra
il mio passato e pure
rinnovella il presente
con quel suo esiguo
movimento
nello spazio e nel tempo.

7. Doppio

Una forma senza vita
evocata dall’astrazione,
dal pensiero folle di non
appartenermi e pure di morire.

La battaglia con l’Altro -
un me stesso esecrabile e fluente
a cui concedo piaceri
o pensieri proibiti,
a cui ricorro per trucchi
di vita, per false chiavi,
per consensi malvagi,
da cui mi guardo ogni istante
perché è il solo, l’unico,
che senza accordi
mi tradirà.

8. Metafore dal vento

Il vento questa sera
porta metafore, pensieri
segreti, da lontano
il sofferto patire delle vittime.

Un credo, allora, innocente,
privilegio di chi è forte
internamente, che sia sostanza
per giudicare
o umile connubio con le vittime,
creatura fra creature.

Ma dov’è la fonte del vento,
la libera sorte cieca
che inquieta la nostra ottusità?

9. Vite, errori

Un’ala sullo specchio d’acqua
passa e si porta dietro
una parte di me,
una del mondo,
le cose che non durano,
che sono state, che sono
e l’attimo è parte
di qualcosa di grande
che stentiamo a capire,
forme fiorite, vite,
errori e come questo
volo destinate a perire.

10. Fede?

Il supplizio, il muro d’indifferenza,
il silenzio sulla violenza: diventa,
presto, passato, lascia che cada
ogni reticenza, decenza
di una fede che non ha più
sostanza.
Fede?

Desiderio smodato
di esistere, di ritrovare
una casa promessa,
le vittime dell’esodo,
tutte le vittime
che non hanno più lacrime.

11. Sapevano tacere, certo, quando le rive

Sapevano tacere, certo, quando le rive
eran piene di foglie e in silenzio
accendevano fuochi. I passeri
ai rumori secchi dei rami spezzati
scappavano a stormi, per poi tornare
circospetti, quando il fuoco saliva,
calmo, qui e là, al limitare dei prati e il fumo
con l’odore caldo del ginepro bruciato,
della robinia, che ci mette del tempo
a bruciare e loro, gli uomini
con gli stivali, s’aggiravano nei campi,
come sperduti, ora che l’inverno è a un tiro
di schioppo, sentivano il freddo annusando l’aria,
mentre saliva a ondate la fragranza
delle cidonie, dell’erba spagna aperta alla sera
sulla scena del cielo.
 

12. Adesso che la rugiada irride sui rami

Adesso che la rugiada irride sui rami
l’estate di San Martino e un sole
araldico ci sventaglia davanti
fantastici turgori
di luce sulle stoppie, come scoppi
di lampi e s’azzuffa il vento nei canneti
a stanare profumi
di lumache e di funghi, adesso
che l’ora del pastore ci sorprende
con un gregge ammansito
da latrati errabondi, prova, adesso,
per un attimo, un istante a pensare
a quando te ne andrai o anche solo
all’impercettibile metamorfosi
che attraversa fulminea
le cose, non te ne accorgi,
mai, anche tu, adesso, pensa,
che la sera infinita
s’è coperta d’impalpabili ombre,
un’ombra.


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