1. LOVE
CANAL: PRO-LOGOS (SUEÑO I)
2. DERIV-AZIONI ARTAUDIANE (SUEÑO II)
3.
POETI CHE CONOSCO (SUEÑO V)
4.
VISITANDO LA MOSTRA DI BALTHUS A ROMA (SUEÑO VII)
5.
FLYSCH
1.
LOVE CANAL: PRO-LOGOS (SUEÑO I)
Di nuovo
e di nuovo Psiche a vegliare
il suo
amante sepolto
“un immenso
sudiciume” e patti infranti tra
umani
e animali
bagliore
di fari calore amniotico
nel petrolio
industriale della notte
battito
d’ala
falena
chimica
nella luce dei lampioni
di Love Canal
dove all’umano
solo è dato accoppiarsi
all’umano
in-
cestuosamente
liquame di vincoli traditi
“patti
trascurati e guardati
con disgusto”
quarantena
immaginaria
in
spazio consacrato
barriere
di filo spinato transenne di paura e d’odio
off-limits
il governo
si offre di acquistare
a prezzo di mercato
le
abitazioni
per la
loro fame di spiriti stercoari
costruttori
di imperi di illusione
baraccopoli
di calcestruzzo e lamiera abitate da ghouls
mute di
cani rabbiosi squatters
falò
nella strada
imprigionato
nella terra che in pochi sono rimasti
a
custodire
il corpo
di piombo del dio
sprigiona la sua energia
in
un
abbraccio
d’amore
Ericepaius
il dio trasformato nell’orrido Pitone
squamoso
Phäethon
Protogenos
si divincola
sotto il tumulo
immondo
cambia pelle
e forma
“amori clandestini che con amplesso
schifoso e
pericoloso
ti uniscono
a serpe
velenosa.”
“Non
ci furono incidenti rilevanti per parecchi anni. In effetti, fu solo
nel
1976,
quando
diversi proprietari di casa riportarono infiltrazioni di elementi
chimici
maleodoranti
e strani a vedersi, che la gente di Love Canal si rese conto di
quanto
fosse pericoloso il circondario.”
Di nuovo
e
di
nuovo
Psiche nelle pastoie
di calce e di sonno
incapace
di alzarsi in volo tra
montagne
di detriti
sbattere
d’ali avvizzite
pericolo di morte avverte il teschio
sul dorso
della falena
e dai confini
innominabili
di questa metamorfosi
d’orrore
Phanes
reca un
dono
sotto forma di ronzio d’ape
nel suo mormorare
lavorato nel miele di questo
linguaggio
invade
l’alveare
umano
brulicante
di nuova dis-
soluzione:
“That world of death -
that
is
death
to the stings of life,
which
is the highest
life-
may be symbolised
by the
serpent.”
“Nella
scia del disastro di Love Canal si venne a sapere che vi erano almeno
135 luoghi
noti nella sola area di Buffalo dove del materiale tossico era stato
sepolto.
Ma l’aumento di consapevolezza e vigilanza del pubblico non produsse
nulla di
buono, dal momento che la gente in tutta la comunità si chiedeva
quando
e dove il veleno sarebbe apparso in seguito. (...) C’era qualcosa di
terribilmente
ignoto intorno alle infilitrazioni chimiche del sottosuolo. Dove
si sarebbero
dirette? Forse nel fiume Niagara? Nelle riserve sotterranee
di acqua?
Nell’acqua che la gente beveva e in cui nuotava?”
“That world of death...”, disse-
e Amoris incidit in amorem
sprofondato
nelle viscere gemmate della terra
furore di toro ferito
risentimento
alato lo stupro, la caduta
che partorisce
il tempo
brandendo
il ferro mortale
nell’Occhio muggente dell’Invisibile la piaga
alle radici
dell’albero di vita un’ascia
di tutte le teste
tagliate
quella di Ophion
biforcuto
velenoso l’unica
rimasta:
“Quanto a te ti punirò solo
con
la fuga”
carne nuda
arroventata e
fumante
il bocciolo di rosa
del
capezzolo
trasformato in scaglia
iridescente
in borchia
di cuoio aromatico
in placca di acciaio
cesellato
sotto il suo sguardo incredulo
che
brucia
Cupidine flagrans Cupidinis
il figlio
del sole
ammalato
con le braccia incatenate
al suo letto d’incubo
sotto il
lenzuolo
damascato
scalpita
confonde
la sua
agonia
col bagliore nel buio
corpo di dragone che si snoda e si scuote
nella sua
corazza
anima mundi in piena
travolge
mura e
architetture,
città e palazzi
la Peste
che non si può
tenere fuori
(“...the world of vision has been
symbolised
in all ages
by
various priestly cults in all
countries
by the
serpent”-
perchè già da sempre infuria nelle orbite
vuote
di chi non
vede
(“In my personal language
or
vision, I call this serpent
a
jelly-fish.”
“In
quel tempo 550.000 curies di materiale radoattivo di scarto fu sepolto
in delle
fosse profonde approssivamente 30 piedi e lunghe seicento piedi”.
“Le fosse
non erano” come riportò il Sierra Club, “recintate da cemento,
plastica
o altro materiale. L’immondizia radioattiva fu scaricata direttamente
nel suolo
con il metodo del ‘gatto’: veniva smossa un po’ di terra, il materiale
veniva
scaricato e poi ricoperto con la stessa terra.”
Di nuovo e di nuovo
Psiche
nelle pastoie di questa morte
incapace
di alzarsi in volo
sbattere d’ali avvizzite
prigioniera
di questo alveare
solitudine
brulicante
fitta
disperazione
“con l’animo straziato
e
lamentandosi
profondamente”
alba e metropoli
ma
qui la luce
monocromatica
artrosi
suicidi sbocciati appassiti
nel battito
d’ala di una
falena
la città si risveglia
ronzio
in sottofondo
rumori
una voce dapprima
distante
indistinta
ti richiama
alla vita
poi
sempre più chiara:
“il
tuo camminare
esitante
e spesso vacillante,
la tua pelle pallida
e il tuo
continuo sospirare, anche
i tuoi occhi piangenti
mi dicono
che sei afflitta da un amore
troppo
grande”
sussurro nella luce
aurorale
il vecchio e la bambina smarrita
nel labirinto della propria mente
agitata
come se non sapesse che ogni labirinto
è
immaginario
proporzionato alla
vastità
del raggio
di un campo
di azione al di
là
del quale infiniti
labirinti
immaginabili attendono
l’uccisore
del
mostro
signore
dell’eco-latrato
dalle cento teste retrattili:
“Egli è
un giovane
tutto
garbo
e raffinatezza: guadagnatelo,
secondandolo
con il tuo omaggio”
labirinti a descrivere
mondi
polvere di orbes
picti
in agguato
trappole
mortali, sabbie mobili, buche
il cancro
del sole che ramifica
mormorio di trance
bisturi
d’arcan
nella corteccia cerebrale del
Minotauro
a recare
in sogno
i passi
della danza-graffito
che incendia
movimento
congelato
sulla nuda
roccia
consegnato alla mano devota
di
chi ha
visto
eoni
sbocciare,
rose nel deserto: un pittore:
Paolo
Veronese (Sacrum Tribunalum
dicit,
Paolo
respondit:
Nui pittori
si pigliamo la licentia che si pigliano i poeti e i matti, et ho fatto
quelli
dui Alabardieri uno che beve, et l’altro che magna appresso una
scala morta,
i quali sono messi là, che possino fare qualche officio
parendomi
conveniente che ‘l patron della Casa, che era grande e richo,
secondo
che mi è stato detto, dovesse haver tali servitori.
En una noche
oscura.
E dimmi
adesso
di quella pisside che ti diedi
da consegnare a Proserpina
“proprio
presso i funebri
Penati
dell’Orco”:
“Venere chiede
che le
mandi un po’ della tua
bellezza”-
Ma su questa
terra, su questa terra
la promessa
diabolica
che non
si compie- puoi tu vendere
la
bellezza in pillole,
sprofondare
in quale Geenna
inferno caramellato,
“nice
price”
il Tartaros
operatorio
su cui sbadiglia la videocamera
teratocefala
abbaglio
“le une che si davan punti
nel viso per accomodarlo,
altre che
si rifacevano
di sana pianta”
puoi vendere la bellezza
in pillole, il magico parto,
l’amaro
(scultura
in
frammenti di corpi
installazioni permanenti,
mutazioni-
schiuma,
anidride carbonica,
il fascio di luce
a cancellare
i geroglifici del tempo
il
derma vaporizzato in un gettito laser
miraggio
in
questo pazientare di dannata
la
tua ansia d’eterno (“Dove
sono,
- chiese poi, - le mie ancelle
Ansia e
Tristezza?-”
strascicata
nella fissità
d’incarnato
traslucido
di questa
statuaria
sfinge dalla testa bendata
l’incubo,
la sete,
lo stanco ansimare.
“Non
mettetevi a indagare sulle invenzioni delle donne,
- mi disse
un diavolo, - perchè son capaci perfino di mandar luce,
senza essere
né il sole né le stelle.”
E
dimmi
adesso di quella pisside
da consegnare
alla madre degli Inferi
di
quel dono prezioso
che ti arreca
morte e pestilenza, dimmi
“quanto
basti
anche per un solo
giorno”
ma che sia
eterno-
in quest’inferno
la pena più atroce
il
comprare le proprie pene
puoi tu
vendere la bellezza in
millimetri
di microsuzione
zigomi
ricostruiti al silicone
labbra al gel
naturale
foto di dannati dai sorrisi smaglianti
ricostruire,
modellare,
bisturi su per i seni
ti mordono
i seni
gelidi
aspidi metallici ma tu
“Se la
tua anima viene separata
dal tuo corpo
andrai
sì certamente nel Tartaro profondo
ma non ne potrai tornare
in alcun modo”
mormorò
il grattacielo-
e
se mangerete di questo frutto
pillola di meraviglie
morte
congelata
o giovinezza
senza fine
abracadabra-
puoi tu
vendere la Bellezza in ormoni
secrezione
di quale ghiandola
addormentata
chiave
d’accesso
(ma tu assolutamente
“non aprire né guardare
entro la
pisside
che recherai”-
per questo paradiso
terreno?
“Per
la maggior parte dormono con una faccia, e con un’altra poi se
ne stanno
in salotto; dormono con una chioma, e si svegliano con un’altra.”
E
dimmi
adesso di quella pisside
misteriosa
perché
questo inferno non è cosa
dell’altro
mondo e non si può
vendere
la bellezza
né
comprare
“tu però non lasciarti piegare
dalla compassione,
che è
proibita” e le due monete in
bocca
viatico
indispensabile per la terra
d’Ade
logopatia
afasia
attraverso lo sfacelo
di questo
corpo-scrittura
lo scioglimento
il prezzo più alto
che non
puoi
pagare
ma tu
“assolutamente
non curiosare
per
scorgere il segreto nascosto
della divina bellezza”
attraverso il varco di Tenaro
ébranlements,
screpolature, fessure
le grinze,
le crespe
di
questa
epidermide
che traspira mondo
le
foci
di questa dissipazione
innominabile,
le rughe
ti recano quale dono
d’immortalità
l’elixir toxique nascosto
“un vero sonno stigio”
in fondo
alle parole-
attraverso
le porte,
le pieghe, le faglie
di questo
tessuto illegibile
trasudazioni di cielo
ineffabile
la pelle che apre i suoi pori
emorragia
di
sé
in questo tempo a brandelli
sospeso e
nel
cuore
di questo
marasma di tenebre una
lotta
un
passaggio una luce
(“e ritornerai
a questo coro di stelle
celesti”-
nel baratro più infetto
in
cui sprofonda
questa
erosione
décrépitude demenziale,
l’ambrosia
fetale
la tras-
mutazione.
“Ti
raccomando sommamente, più di tutto, di badare a questo: non
aprire
né
guardare entro la pisside che recherai, assolutamente non curiosare
per scorgere
il segreto nascosto della divina bellezza.”
Ma su questa
terra,
su questa terra
il vetro prezioso
fatto della
materia dei sogni
in
frantumi
l’arcipelago nel quale navighiamo
incuranti
di noi stessi
dispersione
di queste isole
che parlano la
lingua
sconosciuta
il balbettio
cinguettio
biascicamento
ronzio
di fonemi
nel favo della
gola
le due monete in bocca
logopatia
disfasia
nella profonda cava d’Ade
vagito
ultracentenario-
e non gettarle via
se vuoi
rivedere la “nostra candida
luce”-
di questo oceano luminoso
la decima
parte consacrata a Dite
affonda
nelle radici
di quale
infernale
macerazione/
fermentazione-
fluttuazione di stelle acefale
attraverso
il varco di
Tenaro
la palude stigia
inaccessibile
che dovrai attraversare
perché
non si può vendere
la
bellezza
né comprare
e anche tra i
morti
si usa chiedere l’obolo
ma
tu
se qualcuno
ti invita al seggio regale
“siediti
per terra, chiedi del
pane
grossolano
e mangialo”-
comunione-
l’arcipelago nel quale navighiamo
tra le
superfici che fluttuano lievi
brandelli di questa scrittura
o ruga
del numinoso
in corrispondenza del pozzo di
Cocito
sussulto
dell’onda in profondo
abbaglio miracoloso il
vortice
la spirale
e queste nozze che si celebrano nell’antro
cavernoso
dietro le parole
incesto
di cielo e inferi
“un ricco banchetto nuziale”
perché
c’è un fuoco
fisico
che è il sangue
e quello psichico si chiama
desiderio-
e tra le cosce della donna
c’è la morte
dell’uomo
la matrice l’ombelico della
vita
l’età dell’oro
l’Eden-
“e goda sempre del suo amore”
il cuore
anch’esso fatto carne
muscolo
nervo
pelle
cigno che si divincola
furioso
nel grembo
della mortale
rapita
e il sole che anche oggi continuerà
a
bruciare
sopra il nostro capo: “tutto il suolo
non
è che
suolo,
e che importa
dove uno semina?
Nella
promiscuità di uomini
e donne
è la comunione”
e
insieme a spargere
miracoli
rose
canine
bolle di
sapone
sul loro cammino
e da queste nozze immortali
il dono
di veleno o ambrosia celeste
lo
squarcio lo scempio
l’estasi
- lo strappo divino
sulla tua carne -
“non
s’allontanerà
mai dalla tua
unione.”
2.
DERIV-AZIONI ARTAUDIANE (SUEÑO II)
Esclamazioni
interiezioni
Il poeta che
urla
proclamazioni
scrive si in-
interrogazioni
eiaculazioni
dirizza alla
gesti
smisurati
Parola, e la
oscenamente in fondo al fiotto
d’an-
Parola alle
goscia
fiorita
sue leggi. È
il coltello
alla gola
l’ultimo
verso
nell’Incon
cieca
sotto-
scio del po
missione
nella quale più
padrone
eta credere
di te “da
quell’inconscio
automatica
produttore
mente in ta
di vita” per obbedire alla
Parola
li leggi.
Per-
nel cuore di ciò che vive e
urla
tanto egli si
il cantico di questo
Vuoto
crede libero,
inesauribile
profumo di
quale
ma non lo è.
Giuda
e Cristo di se
stesso
C’è qualcosa
abbandona
dietro la sua
la zavorra delle frasi
evanescenti
testa e sopra
la trincea
di
fuoco
gli orecchi
che scava
dentro di sé cerchio
magico
del suo pen
confine o
barriera
siero. C’è
per accendere
la rivolta tra le
stelle
qualcosa che
incastonate nella breccia del
cielo
fiorisce nella
lontani
idoli
sua nuca, radicato lì da
oscuri.
prima ancora dell’inizio.
Interiezioni
esclamazioni
C’è nelle for
urla
proclamazioni
in-
me della Pa
terrogazioni
eiaculazioni
rola umana
gesti
immisurati
in-
non so che
terruzioni
operazione
e
questa fame che divora se
stessa
di rapacità,
in
agguato
che fame auto
inarrestabile
rapacità
il
Baal
divorante sen
della
Parola
tra i
rimasugli
za fine; per
del
pasto
passeggiare di
colombe
cui il poeta,
angeliche
“e chiamo alla
mente
legandosi al
l’antica
rivolta contro le
forme”
l’oggetto, si
tu
divorato
da chi o che
cosa
vede da esso
l’uragano
mangiato. È
nel
quale
ti
immergi
un crimine
attraverso le fauci
spalancate
che grava pe
di queste caverne
riecheggianti
sante sull’ i
la
Voce
rimbombo
dell’Onda
dea della Pa
che ti
inghiotte
la
marea
rola-fatta-
e tra le mandibole di questa
sintassi
carne, ma il
l’urlo
stritolato
vero crimi
rimescolio della materia o
muta
ne sta nell’
espiazione
nelle canne
d’organo
avere per
di questo
divine éstomaque
sonorità
messo
indigeribili
l’idea in
circolazione
di sangue fonema
oceanico
primo
assimilazione.
luogo.
Urla
interiezioni
esclamazioni
Il crimine
proclamazioni
gesti
primitivo dell’
immisurati
interruzioni
incesto è il
eiaculazioni
interrogazioni
nemico della
“attraverso
il martirio del
tempo
poesia e l’assas
e delle
cose” il
Soffio
la
Voce
sino dell’im
di questo
spirito-libido
animale
macolatezza
turbine
cadaveroso nel
quale
della poesia.
sprofondi
Non voglio
in seno
a quale
Tempo
mangiare la
dentro
al Tempo ogni parola un
eco
mia poesia ma
nella
carne
voglio dare il
di ogni
altra apre varchi e
finestre
cuore alla mia
di memoria-incesto
ancestrale
poesia. E cosa
e dal sacrificio di questo
cuore
è il mio cuore
aperto
rosso
melograno
per la mia
trasmigrazioni
in vista di quel giudizio
poesia?
Il mio
finale
nascosto in fondo al
nome
cuore è ciò
turbine,
ripresa su
questa
miriade
che non è il
di
croci
l’universo
partorisce
mio ego. Da
se
stesso senza
interruzione
il
poeta
re se stesso
“figlio
delle sue
creazioni”
alla propria
che non divora se stesso col
cappio
poesia è an
che
gli
stringe
che rischia
il
collo di quale
Legge
re di essere
o
Vergine
infinita
intravede
violentati
nella
danza delle
molecole
da essa. E
trasmissione
di sogno mai
sbocciato
se sono la
alla
vita nell’alba di
crocifisso
delirio
Vergine
macabro
pasto
della mia poe
di
resurrezione
corolla
nera
sia, dovreb
sventrata
be essere ver
di angelica
transustan-
gine per il
ziazione.
mio ego.
Eiaculazioni
urla
interiezioni
Il mio cuore
esclamazioni
interruzioni
è quella Ro
gesti
immisurati
proclamazioni
sa eterna
interrogazioni
del potere
e quell’inconscio produttore di
noi
magico
stessi
che ci ruba a noi
stessi
della Cro
illusionismi
da
fiera
fantasmagorie
ce iniziale.
di
trucchi
magie
Colui
di quell’antico
copulatore
risveglia
che ha cro
nomi dai cadaveri
inconsciamente
cifisso Se
ritrovando
sé in se
stesso
la
propria
Stesso non
fame insaziabile
contro
cui
è mai
lavacro della Vergine infinita
accoglie
ritornato
senza
sosta queste
forme
a se stesso.
torturate
del
Tempo
i
crimini
Mai.
delle
parole
Perché egli
affinché
la catena più salda non si
spezzi
ha abban
attraverso le faglie di questo
eone
donato alla
la Rosa
eterna del
cuore
o il
vortice
Vita il sé
ti
avvolge
ti attira
magnetica
attraverso
nel centro
assente
cui sacrificò
del
dolore
Se stesso
e “colui che ha
crocifisso
dopo
se stesso non è
mai
averlo costret
ritornato
a se
stesso”
to a diven
finché
dagli anelli o le pagine di
questo
tare l’esse
martirio
il profumo il
grido
re della sua
d’Immacolata Concezione delle
cose
vita. Voglio solo
es
discontinuo
sere per sempre un tale
alle soglie
di quale
metamorfosi
poeta che sacrificò se stesso
della
parola
croce
mente
nella Kabala del sé, per l’im
nella voragine di
vita
inter-
macolata conce
mittente.
zione dell cose.
3.
POETI CHE CONOSCO (SUEÑO V)
Come, eyes,
see more than you see!
R. Duncan
Poeti che
conosco, spiriti sporchi affamati
barboni
alla ricerca di un tozzo di pane rancido
nei bidoni
capovolti del Reale, dalla pelle
tatuata
con le tinte del meraviglioso & i segni
antichi
deformi marchiati a fuoco di un mondo
alla rovescia
di cui si è persa la chiave-
Poeti che
conosco con gli sguardi incarogniti
di pecore
al macello, belanti o ruggenti la stessa visione
di Pascoli
Verdi & Terre Promesse al ritmo forsennato
di una
tromba d’apocalisse & di un djambè ferito,
Sibille
cumane con gli aghi nelle vene accecate
dalla luce
di molli stanze d’ospedale & padiglioni
d’Eternità
tradita-
Poeti che
conosco genìa mutante nomadica
proveniente
da quale tempo del passato del futuro
digiunatori
di Ramadan o danzatori di Siva
servitori
di loa assetati di sangue & Bellezza
striscianti
per terra nell’estasi del cambiare-la-pelle
di serpe
che sono, agili delfini del Satori
nelle onde
quiete agitate di Ciò che E’,
puttane
dello Spirito Santo che danno via le loro fiche
& i
loro culi per non farsi rubare l’anima dai negromanti
del business
& della globalizzazione, adoratori
del Sacro
Cuore muscolo incoronato Bakhti
& da
sempre assorti a infilare il filo della mente
nella cruna
d’ago del cronotopo, io vi conosco
poeti che
gettate via le vostre vite usate come lamette,
impiccati
come Giuda all’Albero della Conoscenza,
frementi
d’amore per la mater dolorosa di Pergolesi
& atterriti
dal barrito dei mammuth infuriati del Dharma,
cavie indifese
cinguettanti dell’Esperimento Umano-
membri della
Tribù celeste che si cercano & si conoscono
in
un magico istante dorato di svenimento del Tempo,
accendono
lumini pietosi agli antenati Yoruba
in camere
ammobiliate scosse dal tremito della metro
sniffando
coca dalle pagine gialle dondolanti
persi innamorati
tra le braccia di Chat Baker
Miles Davis
Glenn Gould Paul Tortellier
Poeti che
conosco, rapiti sulle merkavah divine
perduti
in inferni di visioni mentali & I Ching
pupazzi
di cera bruciati da quale fiamma invisibile
che tessono
le loro frasi come un magico raga
in un estenuante
flash d’osanna & agonia,
e non hanno
dove posare il capo, come tutti
i figli
d’uomo-
Ah, poeti
che riconosco dal profumo della carne
arroventata
sulle griglie elettriche della Visione,
poeti amanuensi,
lottatori di Karma & DNA
divorati
vivi dal Grande Serpente Elicoidale
disquassati
d’ebbrezza epilettica tra l’incanto
di muda
e risveglio, poeti che conosco
Lazzari
redivivi rinati dal seme della parola
resuscitati
dal marasma di un linguaggio murato vivo
rigenerati
nella mischia di sillabe & nell’orgia del suono
smembrati
nel rimembrare & sbranati nella composizione
poeti che
offrono il collo al rasoio del sole
poeti che
conosco senza sapere nulla di loro
che riconosco
dalle gole latranti di medium
dalle parole
spalancate come porte sulle camere
telepatiche
del Grande Vuoto, come bocche
suggenti
l’Invisibile dai capezzoli dell’illusione,
poeti dalle
ispide barbe satanico-mansoniane
dalle pupille
dilatate di psylocibina & pulsanti
qasar azzurre
sulla soglia della disintegrazione,
dall’anima
sfilacciata come saio francescano
e dai polmoni
sbuffanti come mantici o didjeridu,
poeti che
riconosco in albe imbalsamate
con i cervelli
in fiamme in un assolo di sax,
dalle tenere
carni di agnello terremotate di panico
& prozac,
dissanguate dalle sirene della tristezza
& terrorizzate
unicamente come gli antichi Aztechi
dall’arresto
del sole, poeti fulminati dal cobret
sdoppiati
nel sonno & resi folli dalle apparizioni
di nuove
Età dell’Oro, dischi volanti & Madonne
circonfuse
di luce disperate Cassandre mute
a piangere
sangue perché gli uomini non vedono
più
di quello che vedono fuori di loro-
poeti che
riconosco dalle morti violente
sepolti
in terre sconsacrate con le milze spappolate
i crani
aperti come melograni & gli occhi cavati via
da un colpo
d’archetto di violino o da un’unghiata
di Legba,
torturati nelle caserme di Babilonia
arsi vivi
sugli autodafé del Nuovo Ordine Mondiale
Sebastiani
veggenti che non parlano più ai loro popoli,
ritirati
a digiunare nelle foreste & a mangiare locuste
in attesa
di un nuovo Eldorado come Battista o Orfeo,
alchimisti
vaganti sconfitti nei deserti dell’Ade
industriale,
alla ricerca della pietra della poesia-
gesto-azione-cosmo-dissanguamento
al neon
di vergine
ammazzatoio che ride-
per essere
sempre in un nuovo ciclo di samsara & sangue
lapidati
frustati fucilati crocifissi lobotomizzati
incatenati
alle gogne del Reale battezzati con l’electro-shock
dissezionati
nelle accademie esibiti alla TV
torturati
nelle pubbliche piazze & appesi alle navate
dei templi
moderni senza più immagini sacre-
finché
lo Spirito indistruttibile parli dentro di loro parole
di màntica
pestilenziale, disfacimento & demoniaco amore.
4.
VISITANDO LA MOSTRA DI BALTHUS A ROMA (SUEÑO VII)
E’ il novembre
millenovecento
novantasei
il re dei gatti fa una breve apparizione
in Piazza
di
Spagna
tra cacate di piccioni
& strascichi
di visone
lui, decrepito
gentleman anarchico
tra carrozzelle di comitive sciamanti nel tiepido sole
di quest’ansa
malata di fine secolo XX°
con le
sue bambine
the king of
cats
con le sue bambine sognanti
dalla chioma
di paglia che s'interrogano
mute in
quegli specchi diafani del destino
con i minuscoli seni
appuntiti
nespole velenose non ancora colte
nella penombra di stanze irreali,
il corpo
flessuoso gambo di crisantemo
il corpo
flessuoso intagliato nel legno di cedro
come un archetto teso a suonare le stridenti melodie
dell'Invisibile,
le
sue bambine dalla chioma cinerea d'oro alchemico
mollemente
adagiate su di un patch-work frastagliato colorato
di abbandono e morte,
che tendono
la roccia corrosa dello specchio
alla presa fulminea di un micio sveglio come l'argento
vivo,
le sue
bambine che si stiracchiano come Menadi inondate
di luce su vecchie poltrone Louis XIV
con le
babucce ai piedi, i capelli scarmigliati
e le occhiaie profonde
di una
homeliness impastata d'eterno,
le sue
bambine grattate sulla tela come meraviglie
senza
sesso
senza
età
senza nome
angeli
alla Giotto ovattati nella schiuma del non-ritorno
Cristi
adolescenti alla Piero della
Francesca
appena entrati appena usciti
dalla tomba
che giocano con uccelli meccanici librati nell'aria
sbandierati
sotto il muso apocalittico di felini
in fiamme convulse di nafta
e stridore
di denti,
ah, Balthus
ti vedo
soffrire terribilmente per le tue ferite di guerra
e la tua
moglie Setsuko un pò aristocratica
un pò
geisha
che
siede a cosce allargate sul sofa sbiadito tra placide chineseries
e lascia che tu la dipinga voluttuosamente
col tuo
nodoso pennello arroventato
bruciato alla fornace sempiterna di sol
e nella
luce da albume d'uovo nella quale si stinge
la tappezzeria Liberty della camera turca
tiene lo
specchio davanti a sè
come una porta
ah, Balthus,
anche tu
lasciato indietro da questo mondo
moderno
pieno di reattori atomici che girano girano senza sosta
girandole impazzite nel tunnel di un io
sgusciato
come un mollusco,
nel tuo
antro sibillino nel tuo chalet elvetico che la storia non raggiunge,
(come ho sentito dire del sangue di Cristo-
tagliato
fuori da questo mondo
dove il comunismo è caduto e la comune è ancora viva
dove i
gatti parlano ancora al cuore degli
uomini
come nel primo giorno immacolato della terra
nonostante
l'apocalisse del golfo
l'embargo a Cuba che continua ormai
da trent'anni,
nonostante
la FAO sia risoluta ad abolire la fame nel mondo
smerciando natura mutante e biotecnologie
nonostante
la menzogna angelica di Mururoa
e della Yucca Mountain, Nevada,
ah,
Balthus, l'hai detto tu stesso,
"Nel nostro
universo l'animale non può elevarsi,
ma l'uomo
sì che può abbassarsi"
e chi ascolterà Mozart dopo che l'ultima
bomba di
neve radioattiva sarà sganciata?
"I pittori
che si privano della natura
muoiono di sete ai margini
della fontana"
ah, Balthus,
tu l'hai sempre saputo
che c'è
una pace di non-attività nel cuore della danza delle creature
e che per rivestirsi del manto di pavone sfavillante della natura
gli artisti-serpenti
devono prima spogliarsi
della loro pelle aggrinzita,
per riposare
placidamente al sole, un tratto di pennello
ogni kalpa o battere di ciglia
di Brahma,
per non
morire di sete ai margini della fontana
ah, Balthus
(Balthasar Klossowski de Rola, figlio dello storico dell'arte Erich
e della
pittrice Baladine, nato 1908
pittore
surrealista-nazareno- Zen che si è a lungo
abbeverato alle tette urlanti di questo secolo
e ha disegnato
scene e costumi per I Cenci
di nostro fratello nel sangue Artaud
adesso
ti vedo nel tuo atelier che fai entrare il sole
la testa
fasciata come un malato terminale
di cancro
e la tua
modella che legge da uno spartito dell'anima
con la sua voce flautata di uccello filosofale
incomprensibile
bisbiglio in chiave di re
che rizza
l'orecchio ai gatti...
Lo circonda
un'atmosfera di disperata e sfrenata operosità e di solitudine.
Lo studio, cui si accede attraverso diverse rampe di una scalinata di
pietra,
nella fatiscente Cour de Rohan, è ritagliato nelle solide mura
di
pietra, tappezzate di vite del Canada, delle fortezze di Filippo
Augusto.
Questo studio, ampio e silenzioso, con il pavimento spoglio, i
cavalletti,
il divano consunto dal tempo, sembra riflettere l'umore cupo e
melancolico
del proprietario. Ormai dipinge solo tele di grandi dimensioni;
contrariamente
a molti suoi contemporanei, Balthus passa da un'ampia tela all'altra,
senza
esporre, come la moda vuole, le minute di schizzi e disegni preparatori.
"E quando
penso allo sguardo compassionevole di San Francesco d'Assisi, a quella
mano anonima che ha saputo far sorridere la pietra di Reims con tanta
maestria
che ne è uscito un angelo, a quella mano d'uomo tesa
verso la mano di un altro uomo, a quelle persone che si accalcano
davanti
a Cezanne e Vermeer, a Mozart, quando penso a tutto questo sono felice
di essere un uomo..."
"Oggi, dico soltanto che vorrei essere qualcuno che risveglia la vita
su
una terra del lascia morire-"
5.
FLYSCH
per Adriane
sole
presenza sguardo
non rocce
ma dune
a perdifiato
scende la collina
segnato
il margine affilato
rifrangere
del mare onde
fresca
la di lei bocca
impastata
di sale e siri
lontano
all'ombra di un albero
la memoria
tace in immagini
una mente
senza riparo
nient'altro
che sabbia
nella distesa
assolata
venditori
di gamberi chincaglierie
al di là
dell'orizzonte
gli uomini
vanno in mare
con le
loro giunche eterne
non c'è
che questa inamovibile
deriva
di continenti
da quest'altro
lato del loro essere
non c'è
fine riconoscibile
indessicale
come se
fosse
matematicamente
indimostrabile
questi corpi
assonnati fanno
breccia
sull'ora che manca
sciangottio
della marea che sale
sono lì
un uomo
e una donna
quando
il giorno sta passando
al limitare
di dissonanza
una risposta
possibile
embolismale
e non sono
ancora
margine
scheggiato di roccia
ma quasi
la goccia
che scava il granito
il mondo
sale in fretta oggi
nella sua
abituale zona di non-essere
appena
resta
il tempo
per un'ultima sconfitta
nel suo
ventre
incapaci
di direzione
dopo non
c'è che dirlo
mancano
solo le parole
vele incerte
all'orizzonte
si sovrappongono
per un istante
poi separate
di nuovo
l'oggetto
chiede vita
attraverso
il loro esserci
sull'imbarcadero
stasera c'è festa
suonano
il berimbau
c'è
un andare alla deriva
nel loro
modo di cercarsi
la tristezza
dei suoi occhi
si apre
all'azzurro smisurato
in contrasto
coi corpi
la distesa
del paesaggio
quasi un
interminato
con i frantumi
della sua bellezza
convulsa
l'uomo
a ferirsi ancora
mezzocielo
asimmetrie
sul filo del rasoio
la distanza
fatta luce
battito
d'ala e carne
indeterminazione
germogli
in punta di dita
affidati
alla corrente
avrebbe
voluto scrivere
con l'inchiostro
dei gabbiani
ma prima
c'è un dividersi
delle cose
in sé
enarmonico
feedback
ritorno
l'orizzonte
si sporca di rosso
tra di
loro il mondo si sgretola
frammentazione
lei è
l'immagine di sogno
che l'ossessiona
instant
movie
superfetazione
immagine
corporale
di vento
e marea
roccia
riflesso lunare
la memoria
si divide
in tracce
che non dispone
inafferrabile
discanto
erosione
falò
costellano il suo volto
impaginato
nella notte
in questo
lembo di terra
un uomo
e una donna
s'interrogano
parlando
sull'assenza
di parole
senza traccia
residua
con niente
oltre questa
insula della parola
per descrivere
cosa
niente accade
in questo
lembo di terra
dimenticato
dal tempo
finisterrae
dissipazione
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