VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Marco Nieli

   
1. LOVE CANAL: PRO-LOGOS (SUEÑO I)
2. DERIV-AZIONI ARTAUDIANE (SUEÑO II)
3. POETI CHE CONOSCO (SUEÑO V)
4. VISITANDO LA MOSTRA DI BALTHUS A ROMA (SUEÑO VII)
5. FLYSCH


 
1. LOVE CANAL: PRO-LOGOS (SUEÑO I)
 
Di nuovo
  e di nuovo Psiche a vegliare
il suo amante sepolto
“un immenso sudiciume”       e patti infranti tra umani
e animali
 bagliore di fari calore amniotico
nel petrolio industriale della notte
battito d’ala           falena chimica                       nella luce dei lampioni
       di Love Canal
dove all’umano
            solo è dato accoppiarsi all’umano                     in-
cestuosamente
                     liquame di vincoli traditi
“patti trascurati e guardati
   con disgusto”
quarantena immaginaria
 in spazio consacrato
barriere di filo spinato  transenne di paura e d’odio
off-limits
il governo si offre di acquistare
                 a prezzo di mercato
 le abitazioni
per la loro fame di spiriti stercoari
 costruttori di imperi di illusione
baraccopoli di calcestruzzo e lamiera abitate da ghouls
mute di cani rabbiosi  squatters
falò nella strada
imprigionato nella terra  che in pochi sono rimasti
 a custodire
il corpo di piombo del dio
           sprigiona la sua energia
 in un abbraccio                 d’amore
Ericepaius                il dio trasformato nell’orrido Pitone squamoso            Phäethon
Protogenos
si divincola sotto il tumulo immondo                   cambia pelle
e forma      “amori clandestini che con amplesso
  schifoso e pericoloso           ti uniscono
a serpe
            velenosa.”
 “Non ci furono incidenti rilevanti per parecchi anni. In effetti, fu solo nel 1976,
quando diversi proprietari di casa riportarono infiltrazioni di elementi chimici
maleodoranti e strani a vedersi, che la gente di Love Canal si rese conto di
quanto fosse pericoloso il circondario.”
Di nuovo
 e di nuovo            Psiche nelle pastoie
             di calce e di sonno
incapace di alzarsi in volo        tra montagne di detriti
sbattere d’ali avvizzite
      pericolo di morte avverte il teschio
sul dorso della falena
e dai confini innominabili               di questa metamorfosi d’orrore         Phanes
reca un dono            sotto forma di ronzio d’ape
   nel suo mormorare
          lavorato nel miele di questo linguaggio                invade
l’alveare umano brulicante                         di nuova dis-
soluzione:     “That world of death -
 that is death            to the stings of life,
 which is the highest
 life-
          may be symbolised
by the serpent.”
 “Nella scia del disastro di Love Canal si venne a sapere che vi erano almeno
135 luoghi noti nella sola area di Buffalo dove del materiale tossico era stato
sepolto. Ma l’aumento di consapevolezza e vigilanza del pubblico non produsse
nulla di buono, dal momento che la gente in tutta la comunità si chiedeva
quando e dove il veleno sarebbe apparso in seguito. (...) C’era qualcosa di
terribilmente ignoto intorno alle infilitrazioni chimiche del sottosuolo. Dove
si sarebbero dirette? Forse nel fiume Niagara? Nelle riserve sotterranee
di acqua? Nell’acqua che la gente beveva e in cui nuotava?”
                                                 “That world of death...”, disse-
  e  Amoris incidit in amorem
sprofondato nelle viscere gemmate      della terra
      furore di toro ferito
risentimento alato        lo stupro, la caduta
           che partorisce
il tempo
brandendo il ferro mortale          nell’Occhio muggente dell’Invisibile la piaga
alle radici dell’albero di vita un’ascia
     di tutte le teste tagliate                  quella di Ophion
biforcuto velenoso l’unica
rimasta:
              “Quanto a te ti punirò solo
 con la fuga”
carne nuda arroventata e fumante                il bocciolo di rosa
    del capezzolo            trasformato in  scaglia
iridescente
in borchia di cuoio aromatico
          in placca di acciaio
 cesellato            sotto il suo sguardo incredulo
che brucia        Cupidine flagrans Cupidinis
il figlio del sole     ammalato                  con le braccia incatenate
        al suo letto d’incubo
sotto il lenzuolo damascato            scalpita
confonde la sua  agonia          col bagliore nel buio
             corpo di dragone che si snoda e si scuote
nella sua corazza
                           anima mundi in piena
travolge mura e architetture,                     città e palazzi
la Peste che non si può
                                tenere fuori
          (“...the world  of vision has been
symbolised in all ages
 by various priestly cults        in all countries
by the serpent”-
  perchè  già da sempre infuria nelle orbite
vuote              di chi non vede           (“In my personal language
 or vision, I call this serpent
 a jelly-fish.”
 “In quel tempo 550.000 curies di materiale radoattivo di scarto fu sepolto
in delle fosse profonde approssivamente 30 piedi e lunghe seicento piedi”.
“Le fosse non erano” come riportò il Sierra Club, “recintate da cemento,
plastica o altro materiale. L’immondizia radioattiva fu scaricata direttamente
nel suolo con il metodo del ‘gatto’: veniva smossa un po’ di terra, il materiale
veniva scaricato e poi ricoperto con la stessa terra.”
                                    Di nuovo e di nuovo
Psiche nelle pastoie       di questa morte
incapace di alzarsi in volo
           sbattere d’ali avvizzite
prigioniera di questo alveare         solitudine brulicante
fitta disperazione              “con l’animo straziato
 e lamentandosi profondamente”         alba e metropoli
 ma qui la luce
monocromatica artrosi
                             suicidi sbocciati appassiti
nel battito d’ala di una falena             la città si risveglia
ronzio in sottofondo
                        rumori
    una voce dapprima distante             indistinta
ti richiama alla vita
 poi sempre più chiara:
 “il tuo camminare
esitante e spesso vacillante,
            la tua pelle pallida
e il tuo continuo sospirare, anche
         i tuoi occhi piangenti
mi dicono
              che sei afflitta da un amore
 troppo grande”                    sussurro nella luce
aurorale            il vecchio e la bambina smarrita
  nel labirinto della propria mente
agitata                come se non sapesse che ogni labirinto
              è immaginario               proporzionato alla vastità                  del raggio
di un campo di azione         al di là del quale infiniti labirinti            immaginabili attendono
l’uccisore del mostro                    signore          dell’eco-latrato dalle cento teste retrattili:
“Egli è un giovane
tutto garbo        e raffinatezza: guadagnatelo,
 secondandolo con il tuo omaggio”
    labirinti a descrivere
 mondi
                  polvere di orbes picti                  in agguato
trappole mortali, sabbie mobili, buche
il cancro del sole che ramifica
         mormorio di trance
bisturi d’arcan                           nella corteccia cerebrale del Minotauro         a recare
in sogno i passi
della danza-graffito che incendia
movimento congelato
sulla nuda roccia
                         consegnato alla mano devota
 di chi ha visto            eoni
           sbocciare,            rose nel deserto: un pittore:
 Paolo Veronese (Sacrum Tribunalum
 dicit, Paolo
                           respondit:
Nui pittori si pigliamo la licentia che si pigliano i poeti e i matti, et ho fatto
quelli dui Alabardieri uno che beve, et l’altro che magna appresso una
scala morta, i quali sono messi là, che possino fare qualche officio
parendomi conveniente che ‘l patron della Casa, che era grande e richo,
secondo che mi è stato detto, dovesse haver tali servitori.
En una noche oscura.
E dimmi adesso                  di quella pisside che ti diedi
       da consegnare a Proserpina
“proprio presso i funebri
           Penati dell’Orco”:           “Venere chiede
che le mandi un po’ della tua
      bellezza”-
Ma su questa terra,       su questa terra
la promessa diabolica
che non si compie-        puoi tu vendere
 la bellezza in pillole,
sprofondare in quale Geenna
             inferno caramellato,         “nice price”
il Tartaros operatorio
           su cui sbadiglia la videocamera
   teratocefala              abbaglio
       “le une che si davan punti
                                     nel viso per accomodarlo,
altre che si rifacevano
                         di sana pianta”
      puoi vendere la bellezza
                               in pillole, il magico parto,
l’amaro                   (scultura
 in frammenti di corpi
                                          installazioni permanenti,
 mutazioni-
schiuma,        anidride carbonica,
       il fascio di luce
        a  cancellare
                             i geroglifici del tempo
 il derma vaporizzato in un gettito laser
           miraggio
 in questo pazientare di dannata
 la tua ansia d’eterno        (“Dove sono, -    chiese poi, - le mie ancelle
Ansia e Tristezza?-”                         strascicata
nella fissità d’incarnato traslucido           di questa statuaria             sfinge dalla testa bendata
l’incubo, la sete,
                        lo stanco ansimare.
 “Non mettetevi a indagare sulle invenzioni delle donne,
- mi disse un diavolo, - perchè son capaci perfino di mandar luce,
senza essere né il sole né le stelle.”
E dimmi          adesso di quella pisside
da consegnare
                   alla madre degli Inferi
 di quel dono prezioso
                             che ti arreca
               morte e pestilenza, dimmi
“quanto basti
             anche per un solo giorno”                 ma che sia
       eterno-
in quest’inferno
                      la pena più atroce
 il comprare le proprie pene
puoi tu vendere        la bellezza in millimetri di microsuzione
                          zigomi              ricostruiti al silicone
                                          labbra al gel
naturale         foto di dannati dai sorrisi smaglianti
ricostruire, modellare,
                      bisturi su per  i seni
ti mordono i seni gelidi               aspidi metallici  ma tu
“Se la tua anima viene separata
                 dal tuo corpo
andrai sì certamente nel Tartaro profondo
    ma non ne potrai tornare
                                      in alcun modo”
mormorò il grattacielo-
 e se mangerete di questo frutto
       pillola di meraviglie
                     morte congelata             o giovinezza
senza fine     abracadabra-
puoi tu vendere la Bellezza    in ormoni
       secrezione            di quale ghiandola
addormentata chiave d’accesso                    (ma tu    assolutamente
                                                            “non aprire né guardare
entro la pisside
                        che recherai”-
                                     per questo paradiso
     terreno?
 “Per la maggior parte dormono con una faccia, e con un’altra poi se
ne stanno in salotto; dormono con una chioma, e si svegliano con un’altra.”
E dimmi         adesso di quella pisside
        misteriosa
 perché questo inferno non è cosa
 dell’altro mondo        e non si può vendere la bellezza
né comprare
                        “tu però non lasciarti piegare
dalla compassione,
che è proibita”        e le due monete in bocca
viatico indispensabile per la terra d’Ade        logopatia
 afasia      attraverso lo sfacelo
di questo corpo-scrittura
         lo scioglimento
                            il prezzo più alto
che non puoi pagare             ma tu
“assolutamente                non curiosare
 per scorgere il segreto nascosto
              della divina bellezza”
                                  attraverso il varco di Tenaro
 ébranlements,       screpolature, fessure
le grinze, le crespe
 di questa epidermide             che traspira mondo
le foci          di questa dissipazione
           innominabile,
    le rughe
  ti recano quale dono d’immortalità       l’elixir toxique nascosto
                                                                                    “un vero sonno stigio”
in fondo alle parole-
attraverso le porte,
                        le pieghe, le faglie
di questo tessuto illegibile
        trasudazioni di cielo
   ineffabile
                   la pelle che apre i suoi pori
emorragia di sé                in questo tempo a brandelli
                            sospeso           e nel cuore
di questo marasma di tenebre         una lotta
 un passaggio        una luce
(“e ritornerai a questo coro di stelle
 celesti”-           nel baratro più infetto
 in cui  sprofonda         questa erosione
   décrépitude demenziale,
 l’ambrosia fetale                 la tras-
mutazione.
 “Ti raccomando sommamente, più di tutto, di badare a questo: non aprire
né guardare entro la pisside che recherai, assolutamente non curiosare
per scorgere il segreto nascosto della divina bellezza.”
Ma su questa terra,                   su questa terra
     il vetro prezioso
fatto della materia dei sogni
 in frantumi                l’arcipelago nel quale navighiamo
incuranti di noi stessi
dispersione di queste isole
                 che parlano          la lingua
 sconosciuta          il balbettio
cinguettio biascicamento               ronzio
di fonemi nel favo della gola                    le due monete in bocca
 logopatia
                  disfasia                   nella profonda cava d’Ade
vagito ultracentenario-                          e non gettarle  via
se vuoi rivedere  la “nostra candida
                  luce”-            di questo oceano luminoso
la decima parte         consacrata a Dite
affonda nelle radici
                   di quale infernale           macerazione/
 fermentazione-
                    fluttuazione di  stelle acefale
attraverso il varco di Tenaro                la palude stigia
inaccessibile
       che dovrai attraversare
perché non si può vendere
           la bellezza             né comprare
              e anche tra i morti                    si usa chiedere l’obolo
ma tu                  se qualcuno
          ti invita al seggio regale
“siediti per terra,         chiedi del pane grossolano
        e mangialo”-
        comunione-                      l’arcipelago nel quale navighiamo
tra le superfici che fluttuano lievi
     brandelli di questa scrittura        o ruga
del numinoso
       in corrispondenza       del pozzo di Cocito
sussulto dell’onda       in profondo
  abbaglio miracoloso       il vortice       la spirale
     e queste nozze che si celebrano nell’antro
 cavernoso
         dietro le parole
incesto di cielo e  inferi
                 “un ricco banchetto nuziale”
 perché c’è un fuoco fisico          che è il sangue
         e quello psichico si chiama
desiderio-
                   e tra le cosce della donna
  c’è la morte dell’uomo            la matrice      l’ombelico della vita           l’età dell’oro
       l’Eden-
                    “e goda sempre del suo amore”
il cuore anch’esso fatto carne
      muscolo           nervo     pelle
                  cigno che si divincola
 furioso nel grembo
della mortale rapita              e  il sole  che anche oggi continuerà
a bruciare           sopra il nostro capo: “tutto il suolo
 non è che suolo,          e che importa
              dove uno semina?
 Nella promiscuità di uomini        e donne
              è la comunione”
 e insieme a spargere  miracoli             rose canine              bolle di sapone            sul loro cammino
          e da queste  nozze immortali
il dono
    di veleno o ambrosia celeste
 lo squarcio      lo scempio
    l’estasi                     - lo strappo divino
   sulla tua carne -
 “non s’allontanerà
  mai dalla tua
                       unione.”
                                                  
2. DERIV-AZIONI ARTAUDIANE (SUEÑO II)
 
Esclamazioni                      interiezioni                          Il poeta che
       urla             proclamazioni                                       scrive si in-
  interrogazioni                  eiaculazioni                         dirizza alla
       gesti smisurati                                                          Parola, e la
    oscenamente in fondo al fiotto    d’an-                     Parola alle
goscia                                 fiorita                                    sue leggi. È
il coltello alla gola          l’ultimo verso                           nell’Incon
                   cieca sotto-                                                  scio del po
missione          nella quale più padrone                       eta credere
                di te         “da quell’inconscio                          automatica
                          produttore                                            mente in ta
     di vita”        per obbedire alla Parola                         li leggi.
                                                                                                       Per-
        nel cuore di ciò che vive       e urla                            tanto egli si
              il cantico di questo Vuoto                                 crede libero,
inesauribile                 profumo di quale                        ma non lo è.
 Giuda e Cristo di se stesso                                            C’è qualcosa
abbandona                                                                    dietro la sua
        la zavorra delle frasi evanescenti                      testa e sopra
la trincea di fuoco                                                      gli orecchi
che scava dentro di sé     cerchio magico              del suo pen
            confine o  barriera                                            siero. C’è
per accendere la rivolta tra le stelle                         qualcosa che
        incastonate nella breccia del cielo                    fiorisce nella
lontani                         idoli                                           sua nuca, radicato lì da
             oscuri.                                                              prima ancora    dell’inizio.
 
Interiezioni                    esclamazioni                            C’è  nelle for
   urla          proclamazioni             in-                                  me  della Pa
terrogazioni                        eiaculazioni                            rola umana
         gesti immisurati                       in-                          non so  che
       terruzioni                                                                     operazione
 e questa fame        che divora se stessa                       di rapacità,
 in agguato                                                                      che fame auto
    inarrestabile rapacità              il Baal                       divorante sen
della Parola            tra i rimasugli                                 za fine; per
del pasto          passeggiare di  colombe                   cui il  poeta,
angeliche             “e chiamo alla mente                     legandosi  al
l’antica              rivolta contro le forme”                  l’oggetto, si
   tu divorato               da chi o che cosa                     vede da esso
             l’uragano                                                          mangiato. È
nel quale       ti immergi                                             un crimine
                 attraverso le fauci spalancate                      che grava pe
     di queste caverne          riecheggianti                       sante sull’ i
   la Voce               rimbombo dell’Onda                             dea della Pa
che ti inghiotte                 la marea                                     rola-fatta-
       e tra le mandibole di questa sintassi                           carne, ma il
l’urlo stritolato                                                                         vero crimi
              rimescolio della materia o muta                               ne sta nell’
espiazione          nelle canne d’organo                              avere per
di questo divine éstomaque        sonorità                          messo
 indigeribili                                                                           l’idea in
circolazione di sangue    fonema oceanico                                primo
            assimilazione.                                                              luogo.
 
Urla           interiezioni       esclamazioni                       Il crimine
       proclamazioni             gesti                                  primitivo dell’
 immisurati                            interruzioni                     incesto è il
eiaculazioni            interrogazioni                                 nemico  della
“attraverso il martirio del tempo                                    poesia e l’assas
e delle cose”         il Soffio         la Voce                        sino dell’im
di questo spirito-libido animale                                     macolatezza
  turbine                cadaveroso nel quale                      della poesia.
 sprofondi                                                                                     Non voglio
in seno a quale Tempo                                                               mangiare la
dentro al Tempo       ogni parola un eco                                      mia poesia ma
  nella carne                                                                                     voglio dare il
di ogni altra         apre varchi e finestre                                    cuore alla  mia
      di memoria-incesto ancestrale                                        poesia. E cosa
    e dal sacrificio di questo cuore                                         è il mio cuore
aperto                            rosso melograno                         per la mia
trasmigrazioni in vista   di quel giudizio    poesia?           Il mio
finale     nascosto         in fondo al nome                                 cuore è ciò
 turbine, ripresa           su questa miriade                               che non è il
 di croci              l’universo partorisce                                     mio ego. Da
 se stesso      senza interruzione    il poeta                               re  se stesso
“figlio delle sue creazioni”                                                         alla propria
    che non divora se stesso       col cappio                               poesia è an
 che gli stringe                                                                                 che rischia
 il collo         di quale Legge                                                   re di essere
o Vergine          infinita              intravede                         violentati
 nella danza delle molecole                                            da essa. E
trasmissione di sogno     mai sbocciato                             se sono la
 alla vita       nell’alba di crocifisso     delirio                      Vergine
      macabro pasto                                                                 della mia poe
di resurrezione      corolla nera                                        sia, dovreb
       sventrata                                                                     be essere ver
   di angelica  transustan-                                              gine per il
                                   ziazione.                                                           mio ego.
 
 
Eiaculazioni           urla          interiezioni               Il mio cuore
esclamazioni            interruzioni                             è quella Ro
 gesti immisurati                proclamazioni                   sa eterna
           interrogazioni                                           del potere
       e quell’inconscio produttore di noi                 magico
stessi                  che ci ruba  a noi stessi           della Cro
illusionismi da fiera            fantasmagorie                    ce iniziale.
 di trucchi                       magie                                Colui
di quell’antico copulatore     risveglia                     che ha cro
   nomi dai cadaveri         inconsciamente                  cifisso Se
ritrovando sé in se stesso          la propria              Stesso non
fame insaziabile contro cui                                      è mai
    lavacro della Vergine infinita   accoglie                ritornato
 senza sosta  queste forme                                    a se stesso.
torturate del Tempo                    i crimini                Mai.
delle parole                                                                      Perché egli
affinché la catena più salda non si spezzi                  ha abban
      attraverso le faglie di questo eone                  donato alla
la Rosa eterna del cuore           o il vortice              Vita il sé
     ti avvolge                   ti attira magnetica          attraverso
nel centro assente                                                     cui sacrificò
del dolore                                                                     Se stesso
     e “colui che ha crocifisso                                    dopo
       se stesso non è mai                                            averlo costret
 ritornato            a se stesso”                                    to a diven
finché dagli anelli o le pagine di questo                tare l’esse
martirio         il profumo    il grido                          re della sua
    d’Immacolata Concezione delle cose              vita. Voglio solo es            discontinuo                                                                sere per sempre un tale
alle soglie di quale metamorfosi                            poeta che sacrificò se stesso
 della parola                 croce       mente               nella Kabala del sé, per l’im
        nella voragine di vita             inter-                macolata conce
mittente.                                                                  zione dell cose.
 
 
3. POETI CHE CONOSCO (SUEÑO V)
Come, eyes, see more than you see!
R. Duncan

Poeti che conosco, spiriti sporchi affamati
barboni alla ricerca di un tozzo di pane rancido
nei bidoni capovolti del Reale, dalla pelle
tatuata con le tinte del meraviglioso & i segni
antichi deformi marchiati a fuoco di un mondo
alla rovescia di cui si è persa la chiave-
Poeti che conosco con gli sguardi  incarogniti
di pecore al macello, belanti  o ruggenti la stessa visione
di Pascoli Verdi & Terre Promesse al ritmo forsennato
di una tromba d’apocalisse & di un djambè ferito,
Sibille cumane con gli aghi nelle vene accecate
dalla luce di molli stanze d’ospedale & padiglioni
d’Eternità tradita-
Poeti che conosco genìa mutante nomadica
proveniente da quale tempo del passato del futuro
digiunatori di Ramadan o danzatori di Siva
servitori di loa assetati di sangue & Bellezza
striscianti per terra nell’estasi del cambiare-la-pelle
di serpe che sono, agili delfini del Satori
nelle onde quiete agitate di Ciò che E’,
puttane dello Spirito Santo che danno via le loro fiche
& i loro culi per non farsi rubare l’anima dai negromanti
del business & della globalizzazione, adoratori
del Sacro Cuore muscolo incoronato Bakhti
& da sempre assorti a infilare il filo della mente
nella cruna d’ago del cronotopo, io vi conosco
poeti che gettate via le vostre vite usate come lamette,
impiccati come Giuda all’Albero della Conoscenza,
frementi d’amore per la mater dolorosa di Pergolesi
& atterriti dal barrito dei mammuth infuriati del Dharma,
cavie indifese cinguettanti dell’Esperimento Umano-
membri della Tribù celeste che si cercano & si conoscono
 in un magico istante dorato di svenimento del Tempo,
accendono lumini pietosi agli antenati Yoruba
in camere ammobiliate scosse dal tremito della metro
sniffando coca dalle pagine gialle dondolanti
persi innamorati tra le braccia di Chat Baker
Miles Davis Glenn Gould Paul Tortellier
Poeti che conosco, rapiti sulle merkavah divine
perduti in inferni di visioni mentali & I Ching
pupazzi di cera bruciati da quale  fiamma invisibile
che tessono le loro frasi come un magico raga
in un estenuante flash d’osanna & agonia,
e non hanno dove posare il capo, come tutti
i figli d’uomo-
 
Ah, poeti che riconosco dal profumo della carne
arroventata sulle griglie elettriche della Visione,
poeti amanuensi, lottatori di Karma & DNA
divorati vivi dal Grande Serpente Elicoidale
disquassati d’ebbrezza epilettica tra l’incanto
di muda e risveglio, poeti che conosco
 
Lazzari redivivi rinati dal seme della parola
resuscitati dal marasma di un linguaggio murato vivo
rigenerati nella mischia di sillabe & nell’orgia del suono
smembrati nel rimembrare & sbranati nella composizione
poeti che offrono il collo al rasoio del sole
poeti che conosco senza sapere nulla di loro
 
che riconosco dalle gole latranti di medium
dalle parole spalancate come porte sulle camere
telepatiche del Grande Vuoto, come bocche
suggenti l’Invisibile dai capezzoli dell’illusione,
poeti dalle ispide barbe satanico-mansoniane
dalle pupille dilatate di psylocibina & pulsanti
qasar azzurre sulla soglia della disintegrazione,
dall’anima sfilacciata come saio francescano
e dai polmoni sbuffanti come mantici o didjeridu,
poeti che riconosco in albe imbalsamate
con i cervelli in fiamme in un assolo di sax,
dalle tenere carni di agnello terremotate di panico
& prozac, dissanguate dalle sirene della tristezza
& terrorizzate unicamente come gli antichi Aztechi
dall’arresto del sole, poeti fulminati dal cobret
sdoppiati nel sonno & resi folli dalle apparizioni
di nuove Età dell’Oro, dischi volanti & Madonne
circonfuse di luce disperate Cassandre mute
a piangere sangue perché gli uomini non vedono
più di quello che vedono fuori di loro-
 
poeti che riconosco dalle morti violente
sepolti in terre sconsacrate con le milze spappolate
i crani aperti come melograni & gli occhi cavati via
da un colpo d’archetto di violino o da un’unghiata
di Legba, torturati nelle caserme di Babilonia
arsi vivi sugli autodafé del Nuovo Ordine Mondiale
Sebastiani veggenti che non parlano più ai loro popoli,
ritirati a digiunare nelle foreste & a mangiare locuste
in attesa di un nuovo Eldorado come Battista o Orfeo,
alchimisti vaganti sconfitti nei deserti dell’Ade
industriale, alla ricerca della pietra della poesia-
gesto-azione-cosmo-dissanguamento al neon
di vergine ammazzatoio che ride-
per essere sempre in un nuovo ciclo di samsara & sangue
lapidati frustati fucilati crocifissi lobotomizzati
 incatenati alle gogne del Reale battezzati con l’electro-shock
dissezionati  nelle accademie esibiti alla TV
torturati nelle pubbliche piazze & appesi alle navate
dei templi moderni senza più immagini sacre-
 
finché lo Spirito indistruttibile parli dentro di loro parole
di màntica pestilenziale, disfacimento & demoniaco amore.
 
4. VISITANDO LA MOSTRA DI BALTHUS A ROMA (SUEÑO VII)

E’ il novembre millenovecento
novantasei
                  il re dei gatti fa una breve apparizione
in Piazza di Spagna               tra cacate di piccioni
& strascichi di visone
lui, decrepito gentleman anarchico
                 tra carrozzelle di comitive sciamanti nel tiepido sole
di quest’ansa malata di fine secolo XX°
con le sue bambine
           the king of cats             con le sue  bambine sognanti
dalla chioma di paglia  che s'interrogano
mute in quegli specchi diafani del destino
           con i minuscoli seni appuntiti               nespole velenose non ancora  colte
                                                        nella penombra di stanze irreali,
il corpo flessuoso gambo di crisantemo
il corpo flessuoso intagliato nel legno di cedro
          come un archetto teso a suonare le stridenti melodie
dell'Invisibile,
 le sue bambine dalla chioma cinerea d'oro alchemico
mollemente adagiate su di un patch-work frastagliato colorato
                                              di abbandono e morte,
che tendono la roccia corrosa dello specchio
       alla presa fulminea di un micio sveglio come l'argento
vivo,
le sue bambine che si stiracchiano come Menadi inondate
        di luce su vecchie poltrone Louis XIV
con le babucce ai piedi, i capelli scarmigliati
                e le occhiaie profonde
di una homeliness impastata d'eterno,
le sue bambine grattate sulla tela come meraviglie
        senza sesso            senza età                senza nome
 angeli alla Giotto ovattati nella schiuma del non-ritorno
 Cristi adolescenti alla Piero della Francesca        appena entrati appena usciti
dalla tomba
                 che giocano con uccelli meccanici librati nell'aria
sbandierati sotto il muso apocalittico di felini
               in fiamme convulse di nafta
e stridore di denti,
  ah, Balthus
ti vedo soffrire terribilmente per le tue ferite di guerra
e la tua moglie Setsuko un pò aristocratica
un pò geisha
 che siede a cosce allargate sul sofa sbiadito tra placide chineseries
              e lascia che tu la dipinga voluttuosamente
col tuo nodoso pennello arroventato
                   bruciato alla fornace sempiterna di sol
e nella  luce da albume d'uovo nella quale si stinge
  la tappezzeria Liberty della camera turca
tiene lo specchio davanti a sè
                        come una porta
      ah, Balthus,
anche tu lasciato indietro da questo mondo
moderno pieno di reattori atomici che girano girano senza sosta
              girandole impazzite nel tunnel di un io
 sgusciato come un mollusco,
nel tuo antro sibillino nel tuo chalet elvetico che la storia non raggiunge,
                   (come ho sentito dire del sangue di Cristo-
tagliato fuori da questo mondo
     dove il comunismo è caduto e la comune è ancora viva
dove i gatti parlano ancora al cuore degli uomini                come nel  primo giorno immacolato della terra
nonostante l'apocalisse del golfo         l'embargo a Cuba che continua ormai
                            da trent'anni,
nonostante la FAO sia risoluta ad abolire la fame nel mondo
   smerciando natura mutante e biotecnologie
nonostante la menzogna angelica di Mururoa
            e della Yucca Mountain, Nevada,
 ah, Balthus, l'hai detto tu stesso,
"Nel nostro universo l'animale non può elevarsi,
ma l'uomo sì che può abbassarsi"
     e chi ascolterà Mozart dopo che l'ultima
bomba di neve radioattiva sarà sganciata?
"I pittori che si privano della natura
        muoiono di sete ai margini
                                                della fontana"
ah, Balthus, tu l'hai sempre saputo
che c'è una pace di non-attività nel cuore della danza delle creature
     e che per rivestirsi del manto di pavone sfavillante della natura
gli artisti-serpenti devono prima spogliarsi
          della loro  pelle aggrinzita,
per riposare placidamente al sole, un tratto di pennello
                ogni kalpa o battere di ciglia
di Brahma,
per non morire di sete ai margini della fontana
ah, Balthus
    (Balthasar Klossowski de Rola, figlio dello storico dell'arte Erich
e della pittrice Baladine, nato 1908
pittore surrealista-nazareno- Zen  che si è a lungo
                abbeverato alle tette urlanti di questo secolo
e ha disegnato scene e costumi per I Cenci
                 di nostro fratello nel sangue Artaud
adesso ti vedo nel tuo atelier che  fai entrare il sole
la testa fasciata come un malato terminale
         di cancro
e la tua modella che legge da uno spartito dell'anima
          con la sua voce flautata di uccello filosofale
incomprensibile bisbiglio in chiave di re
che rizza l'orecchio ai gatti...
Lo circonda un'atmosfera di disperata e sfrenata operosità e di solitudine. Lo studio, cui si accede attraverso diverse rampe di una scalinata di pietra, nella fatiscente Cour de Rohan, è ritagliato nelle solide mura di pietra, tappezzate di vite del Canada, delle fortezze di Filippo Augusto. Questo studio, ampio e silenzioso, con il pavimento spoglio, i cavalletti, il divano consunto dal tempo, sembra riflettere l'umore cupo e melancolico del proprietario. Ormai dipinge solo tele di grandi dimensioni; contrariamente a molti suoi contemporanei, Balthus passa da un'ampia tela all'altra, senza esporre, come la moda vuole, le minute di schizzi e disegni preparatori.
"E quando penso allo sguardo compassionevole di San Francesco d'Assisi, a quella mano anonima che ha saputo far sorridere la pietra di Reims con tanta maestria che ne è uscito un angelo, a quella mano  d'uomo  tesa verso la mano di un altro uomo, a quelle persone che si accalcano davanti a Cezanne e Vermeer, a Mozart, quando penso a tutto questo sono felice di essere un uomo..."
             "Oggi, dico soltanto che vorrei essere qualcuno che risveglia la vita su una terra del lascia morire-"

5. FLYSCH
per Adriane

sole          presenza         sguardo
non rocce ma dune
a perdifiato scende la collina
segnato il margine affilato
rifrangere del mare onde
fresca la di lei bocca
impastata di sale e siri
lontano all'ombra di un albero
la memoria tace in immagini
una mente senza riparo
 
nient'altro che sabbia
nella distesa assolata
venditori di gamberi chincaglierie
al di là dell'orizzonte
gli uomini vanno in mare
con le loro giunche eterne
non c'è che questa inamovibile
deriva di continenti
da quest'altro lato del loro essere
non c'è fine riconoscibile
indessicale
come se fosse
matematicamente indimostrabile
questi corpi assonnati fanno
breccia sull'ora che manca
sciangottio della marea che sale
sono lì
un uomo e una donna
quando il giorno sta passando
al limitare di dissonanza
una risposta possibile
embolismale
 
e non sono ancora
margine scheggiato di roccia
ma quasi
la goccia che scava il granito
il mondo sale in fretta oggi
nella sua abituale zona di non-essere
appena resta
il tempo per un'ultima sconfitta
nel suo ventre
 
incapaci di direzione
dopo non c'è che dirlo
mancano solo le parole
vele incerte all'orizzonte
si sovrappongono per un istante
poi separate di nuovo
l'oggetto chiede vita
attraverso il loro esserci
sull'imbarcadero stasera c'è festa
suonano il berimbau
 
c'è un andare alla deriva
nel loro modo di cercarsi
la tristezza dei suoi occhi
si apre all'azzurro smisurato
in contrasto coi corpi
la distesa del paesaggio
quasi un interminato
con i frantumi della sua bellezza
convulsa
l'uomo a ferirsi ancora
 
mezzocielo
asimmetrie sul filo del rasoio
la distanza fatta luce
battito d'ala e carne
indeterminazione
germogli in punta di dita
affidati alla corrente
avrebbe voluto scrivere
con l'inchiostro dei gabbiani
ma prima c'è un dividersi
delle cose in sé
enarmonico
feedback
ritorno
l'orizzonte si sporca di rosso
tra di loro il mondo si sgretola
frammentazione
lei è l'immagine di sogno
che l'ossessiona
instant movie
superfetazione
 
immagine corporale
di vento e marea
roccia      riflesso lunare
la memoria si divide
in tracce che non dispone
inafferrabile discanto
erosione
 
falò  costellano il suo volto
impaginato nella notte
in questo lembo di terra
un uomo e una donna
s'interrogano parlando
sull'assenza di parole
 
senza traccia residua
con niente
oltre questa insula della parola
per descrivere cosa
niente accade
in questo lembo di terra
dimenticato dal tempo
finisterrae
dissipazione

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