VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Pino Imperatore

   
Risveglio
Verso assassino
La prossima esclamazione
Angeli terreni
Notti di luce giorni di buio
A cosa serve il pianto
Un sonno bambino
Visione
Corsaro di sabbia
Insegnami la parola
Non può un poeta
Dalla parte del cielo
Il nuovo zenit


Risveglio

Lo avverto:
l’Oceano dell’Aurora
ha schiuso le porte
ai primi sbadigli d’oppio
delle misere ciminiere,
all’irrequieto pattinare
nella metropoli
sperduta nel fango

Dalla Collina delle Colombe
il mio sangue
caldo sul cuscino
torna a fondersi
col sangue del mondo

Verso assassino

Da questo spazio
finito di buio
stilla
un verso assassino
e come veleno
mi serpeggia nel sangue,
carpisce le parole
al mio esistere
già dilaniato
da schegge d’incubo

Dimmi,
o Signore degli Arcobaleni,
dov’è riposta
la mia pietra angolare,
sì ch’io possa
sapere chi sono
e lenire
il tormento delle ore

La prossima esclamazione

L’arbusto adolescente
è un fossile fragilissimo,
come le strofe recitate male
di una gioventù senza ruolo

In un’atmosfera da scandalo,
la vita non accoglie invocazioni:
la mia voce è una sillaba
perduta nel fragore
e la zattera è già pronta

Ma sono nato per esserci,
chiedo scusa al progresso

Non lascerò affogare
le mie forme colorate
nella taverna dei numeri:
gli ultimi frantoi della speranza
mi apriranno varchi
tra i vuoti fauni di bronzo
e mi daranno storie
modellate con la focaccia e col vino

Io sarò la prossima esclamazione
 

Angeli terreni

Ho incatenato le grida
per ritrovare
i battiti del tempo
e il Divenire

Angeli terreni mi sorridono,
immobili sulle soglie dell’Incanto

L’orizzonte è una foresta
in cui avrò radici

Non è vero che ho bisogno
di incertezze e crude parole

Uccido ogni giorno il passato
 

Notti di luce giorni di buio

Nei labirinti del sogno
sfioravo l’Infinito
tra le braccia d’una cometa
e miliardi di visioni
brillavano come rubini
sul calore del mio corpo,
lontano dai bassifondi
d’ogni tempo e dolore

Le dita puntate
contro il rosso cielo
aperto sulla mia mente,
sulla mia volontà d’arrendermi,
e falò di fantasie
che m’indicavano la via

“Notti di luce giorni di buio,
fatemi ancora sognare
con le vostre armoniche
disegnate dal vento”
fu l’ultima preghiera
che rubai alla luna
prima dell’esplosione

A cosa serve il pianto
L’amore non può coesistere col timore
Seneca

A cosa serve il pianto
tra queste mura che già di lacrime
hanno sapore e trasparenza,
qui dove sommesso Amore si curva
su fantasmi e tracce
di incontri cortesi più dell’alba,
di alte fiamme ai venti riparate

Mai scambierò il tuo cuore
con altri frammenti d’illusione
e chino tra nuvole e terre
misurerò il tuo volo da lontano,
per renderti ancor lievi i desideri,
per indicarti il bene
che avevo e non t’ho dato

Lasciami guarire – lasciami! –
e fuggi regina della gioia
oltre l’isola nel mare
della vita che sorprende,
uccide e pur risuscita,
tra specchi che non rammentino
forme della mia sconfitta
 

Un sonno bambino

Sulla mappa del dolore
avevo segnato i percorsi
di impossibili guarigioni,
come cerchi di conchiglie
attorno a castelli di sabbia,
e da novello Ulisse
cercavo la fonte di ogni grazia,
l’acqua della rigenerazione
che consuma il vanto
e lascia immacolato l’ardire

Ma si è poca cosa
dinanzi a un addio:
un lamento, un gesto incompiuto,
un fugace brusio
prima del silenzio,
la strada interrotta
dal muro dell’inquietudine

L’orribile impotenza

Ora che la ragione è quieta
mi adagio in un sonno bambino
e dalla purezza di un’elegia
schiva all’inutile sapienza
mi lascio docile corteggiare
fino al sollievo
di un libero sorriso
 

Visione

Quando le porte della percezione
sono spalancate, le cose appaiono
come veramente sono – infinite
WILLIAM  BLAKE
Cercherai il mio corpo
e lo scoprirai
su un letto di cenere,
saprai che è fatto
di legno arso e sassi
e dorme nel chiarore
di uno spazio allucinato,
dove morte e vita
si fondono e confondono

Dovrai guardare
oltre l’immaginazione,
tra le ombre
che non si afferrano,
in ogni intenzione
e in ogni imminenza,
nella mutevolezza dei desideri

Vedrai le mie cellule
come pezzi di un mosaico
approssimato per eccesso
e ti apparirà il baro
che ha truccato le mie carte

E se avrai un sogno,
non rifiutarlo:
fallo nascere per me
 

Corsaro di sabbia

Potrei raggiungere la Cima
seguendo il sentiero di felci,
ammaestrare il corvo nero
e farne il Principe dei Voli
o l’ultimo in vetrina,
ma voglio che la morte
mi trafigga in piedi,
come in un sogno bellissimo:
gli scudieri del buio
hanno altri posti
dove vendere illusioni

Sono un corsaro di sabbia
che ha una piccola vigna
in una contrada lontana,
là dove i canti
non si perdono in lamento
e ogni cosa ha il sapore del Vero
 

Insegnami la parola

Insegnami la parola
che rende liberi e gioiosi,
che sale nella gola
come lava di vulcano
e scioglie le catene
di ogni solitudine

Denuda la mia anima
con dolce prepotenza
e interroga il mio Dio:
lui solo saprà dirti
quale spirito ha per me dimora
sulla riva delle consonanze

Sii Atomo Cuore Madre,
sii vento di magia
che soffi senza posa
fino al mirabile giorno
in cui vedrò morente
il mio inquieto errare
 

Non può un poeta

Non può un poeta
risolvere in versi
i sensi di colpa
e la colpa dei sensi,
né ricomporre
detriti, brandelli
di animi straziati

Il peso della materia
mai gli darà emozioni
e lo terrà fermo
nel limbo della purezza

Che sia cantore
di Universi in fuga
dalle oscure cifre
smarrite nell’ambiguità

La porta della notte
gli resti sbarrata

Una luce sempre nuova
lo sublimi
 

Dalla parte del cielo

Le briciole sfuggite
alle mie mani fanciulle
sono in viaggio
nel ciclo della materia,
tra il ripudio e il rimpianto
di una mite stagione

Torneranno, lo so,
torneranno col loro sapore
all’approssimarsi del Limite

Dalla parte del Cielo
la mia verde carrozza
si aprirà alla luce

Dalla parte del Cielo
si è trasparente zaffiro
strappato al sortilegio delle nebbie

Si è seme che avrà frutto

Quando la morte mi dirà
di andare, le chiederò
un altro po’ di fiato

Siederò con lei
e le racconterò la mia età felice

Il nuovo zenit

Arabeschi d’azzurro
si aprono
sulla mia salvezza
e su ogni stelo
in equilibrio
sul prato del mondo

Cerco il nuovo Zenit,
una fetta di luna
o un piccolo sasso
dove incidere
la mia umile vita

Pioggia,
scendi a purificare
queste mie certezze
sanguinanti e fragili:
ho l’impegno
di stremare il Tempo
e cavarmi dal petto
l’isola di malinconia
che m’invita a morire



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