Or con l’avvenuto tardo  lauro
                  
                  Su
quel
sofà mai visto
                  
                  L'auto
ci strania vorace
                  
                  E’
a san
pietro in montorio
                  
                  Dite
voi
taciturni padri
                  
                  Il
fan
di cartoncino bristol
                  
                  In
laude
di dama que lauda, comma 4
                  
                  Della
nuova guerra
                  
                  Di
quell’inghippo
losco
                  
                  Il
sacco (versione
6.1)
                  
                  E
in cielo
quasi di sé sfarinando tracce
                  
                  Quercianella
                  
                  Un
lamento
alle forze di polizia
                  
                  Globalizza
e contesta
                  
                  Doppio
sogno
                  
                  ricordavi
le
parole di borges
                  
                  Arsenio
                  
                  A
volte
                  
                  Al
colloquio
                  
                  Annunciazione
dell'Arcangelo Gabriele a  Zaccaria
                  
                  Eroe
dell'
uno
                  
                  Traduzioni
e variazioni
                  
                  Quattro
poesie
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  
                  Or
con l’avvenuto tardo  lauro
                  
                  or con l’avvenuto tardo 
lauro
                  
                  sguaino il
plico e non mi so
                  
                  valvassore
più di tanto.
                  
                  non credo rideranno le maestrine
buone dell’inavvenuto
                  
                  cambiamento,
che le faccette/voto
stampigliate in compitini
                  
                  lasciavano
presagire. si era 
prossimi geni, allora che avveniva
                  
                  l’apprensivo
trapasso dal bianchennero
al colore e
                  
                  il sorriso
coronava la coniugazione
a un futuro anteriore
                  
                  piucchepperfetto. 
or con
l’avvenuto tardo lauro
                  
                  impiastricciando il certificato
dello stato, la maestra
                  
                  in carta
pecora dirà
                  
                  e ora
chessenefa  dotto’
?
                  
 
                  
                  Su
quel sofà mai visto
                  
                  su quel sofà mai visto
                  
                  prima
                  
                  che viveva di
stoffa dura
                  
                  come rigidita
                  
                  da un cartone
di vetro
                  
                  soffiato, in
quell’aria rada
                  
                  da famiglia
allargata
                  
                  di tedio
scompigliata
                  
                  nell’annuale
riunione condominiale
                  
                  riversavo
ospite
                  
                  il sorriso
medio da pomeriggio
e nell’attesa
                  
                  dello start
fendevano prove
                  
                  i
patròn di schermaglie,
da infilzare
                  
                  al terzo
punto prima delle varie.
                  
                  estraneo a quelle case
                  
                  sguincio a
follonica    
ero
                  
                  compagno tuo
dell’occasione.
                  
                  altri
arrivavano, incappavo un
sorriso
                  
                  diviso, mi
accovacciavo alla
tua posa
                  
                  composta che
interrogava
                  
                  gli sviluppi
del bivacco; annotavo
                  
                       
                  avresti riferito a chi di dovere con la
calcolatrice svedese?
                  
                  la certezza
d’un tuo dubbio riparavo
                  
                  a margine, mi
sapevo     
inconteso.
                  
                                   
arredo grattato, scialbavo
                  
                            
alla fiammella della discussione e
                  
                       
stavo bene davvero eccentrico
                  
                   
davvero inutile. mi fingevo
                  
                  attento ma
                  
                  solo
                  
                   
ascoltavo all’interno
l’incaponirsi
                  
                      
d’un
acquattato libeccio nei meandri
                  
                         
cubi vuoti del palazzo, ex crema del ‘60
                  
                              
che sussurrava epocali quei silenzi spessi
                  
                                   
dopo la grassa stagione degli affitti.
                  
                  a fianco settembre  ne rideva
e un seme scivolava
                  
                  in sordina;
basta ne rifaremo
tetto nuovo era
                  
                   partita
come tarlo la decisione
                  
                  di tutti, ci
si preventivi è
ora,
                  
                  poi
                  
                   nell’ordine
insinuavano
                  
                  il
commercialista pannelli consigli
postille rimandi sbadigli
                  
                  cadevano a
cocci, tutti a riparare
il vecchio
                  
                  tetto
                  
                   dalle
virtuose promesse.
roboava
                  
                  ora l’androne
d’un timore d’inverno
scrostato.   solo
                  
                  un intervento
economicissimo
di fortuna senza gru abusivo
                  
                   avrebbe
velato il danno
che si fiutava  lieve  temporale.
                  
                  
                  L'auto
ci strania vorace
                  
                  l'auto ci strania vorace
                  
                  diluendo il
dettato
                  
                  l'ascolto.
                  
                  forse sono solo sintomi
                  
                  che deplori
raschiando il dolore
                  
                  o è il
male
                  
                  che griffa;
andiamo tra
                  
                  corsie che
aprono
                  
                  un trincio
distratto: goffi
                  
                  tra i grumi
d'un bosco frontale
                  
                  si va.
                  
                  l'auto ci
strania veloce
                  
                  carpendo il
dettato
                  
                  e l'ascolto.
                  
                  ci s'impaura
d'una primavera
                  
                  tramestata da
segnali
                  
                  imperfetti e
rimandi
                  
                  senza
prefissi. ascendiamo
                  
                  feriti. ci si sfreccia
                  
                  aprendo forse
                  
                  di noi
                  
                  che un fianco. ignudi
                  
                  di fronte al
sandalo aperto
                  
                  che zoppica
sdrucito là
                  
                  sui prati
fradici del lungostrada;
                  
                  le prostitute
abbeverano.
                  
                  forse sono solo sintomi
                  
                  mentre la
città finge
un coma
                  
                  d'istinto,
remota.
                  
                  noi due variamo
                  
                  le cadenze,
tergendo
                  
                  la pioggia
l'asfalto il vetro,
                  
                  è
frattura breve,
                  
                  la nostra,
arco
                  
                  minimo
inaspriamo
                  
                  impercettibili.
sappiamo
                  
                  che il
giudizio è altro.
                  
                  è'
alto. sappiamo
                  
                  d'esser oltre i cento, ma
                  
                  ci s'impone
un contegno
                  
                  di
superstiti. via
                  
                  si va
                  
 
                  
                  E’
a san pietro in montorio
                  
                  è a san pietro in montorio
                  
                  escono 
gli sposi
                  
                  violini
                  
                  quando lauto
un vento
                  
                  crespa il
gianicolo. muta la
folla
                  
                  in disparte.
                  
 
                  
                  li vedo, ventenni serrarsi sottecchi
                  
                  fra le dita
di sguardi parenti,
                  
                  ne provo
                  
                  a salir piano
due scale.
                  
                  il cielo s’inguaia di mucose strie
                  
                  e timido mi
s’accosta
                  
                  un
sudorìparo, sorride
                  
                  del mio
sorriso. mi spiega
                  
                  le mani del
loro amare; non
                  
                  è
cambiato, è diverso
forse
                  
                  oggi, ma forse
                  
                  tu ne sei il
segno; chiosa lui
                  
                  mentre
qualcuno nella folla
                  
                  rovista la
borsetta
                  
                  a
rabberciarsi il trucco.
                  
                  accade. in fronte al tempietto
                  
                  mi spiazza
una folata ingorda.
                  
                  solo, nel
giorno breve
                  
                  gli occhi mi
si crepano del rimmel.
                  
                  mi rimprovero
                  
                  d’esser
lì, come ogni
giorno
                  
                  del non
coraggio di sfilare
                  
                  a trastevere
dove brulica
                  
                  la vita in
divenire.
                  
                  tiro i
chicchi di riso e me ne
vo, senza gran saluti.
                  
 
                  
                  Dite
voi taciturni padri
                  
                  dite voi, taciturni padri
                  
                  coturnati da
mediani in disuso
                  
                  non sia 
giorno  che
depresso sfria
                  
                  l’oggi
                  
                  ma un’estate
ridarella dove
                  
                  ricordare di
allora
                  
                  solo
ciò che noi piccini
appena sappiamo
                  
                  allora
                  
                  orifiamma di
sketch e molotòv.
                  
                  scribacchio
sole velato sul pentagramma.
                  
                   eh però  voi
giudici di provata scienza
                  
                  generazione
di eroi mancati appelo
                  
                  sappiate, 
non  siamo
i soli, noi
                  
                  fenestrati
in  sordo codice
a barre
                  
                  sappiamo di
sfiorire foltifolti,
debosciati
                  
                  nell’arma
sottile che è
il piacere
                  
                                               
l’irricordanza.
                  
 
                  
                  Il fan di cartoncino bristol
                  
                  mi dico, è lui quello strano?
                  
                   ci
saluta di lontano, antico
                  
                  il fan
ambientale, col secchio
                  
                  grasso,
scroscia pionieri arbusti
                  
                  sul pubblico
pratino, s’avvvicina
torvastro; gli chiedo.
                  
                  con un piede
il tipo sale, medita
                  
                  sul trespolo,
incespica gotica
                  
                  una predica
sul verde
                  
                  sfiancato, i
giovani fannulla
                  
                  a fatica il
deltaplano l’insegue,
                  
                  sparuta
schiamazza la nube. e
                  
                  gli chiedo di
lui
                  
                  ragazzo,
dimmi                       
cos’era.
                  
                  traballa traborda spaesa, m’infischia
che
                  
                  ne sai? era
il tempo strambo
                  
                  dei
rastrelli, ‘quarantaquattro.
precoci
                  
                  le rughe alle
tazze cocciate.
                  
                  che ne so, ma
perché morirlo
poi
                  
                  è
libro di figure,
altro            
gli dico
                  
                  che fate,
altro che giostre.
agli
                  
                  affetti
rimossi si spanna, ai
respiri
                  
                  rimorsi si
cruccia, bacucco
                  
                  dissenna:
sferra via i trucioli
                  
                  le stagioni
le ragioni di allora,
lo
                  
                  addita
                  
                  a esotico
scampolo
                  
                  un
vuccumprà . che 
senza motivo gratis gli impartisce lezioni d’un trasandato francese
oltremare
                  
                  si frana il cavalletto
                  
                  da un cielo
spaesato.
                  
 
                  
                  In laude di dama que lauda, comma 4
                  
                  oh dama tu mi perturbi, mi stagli
                  
                  con lodi di
gomma in avori torniti
                  
                  su torri tra
cirri e tranelli,
cara
                  
                  t'industri a traviarmi d'incensi
                  
                  e allori
tornelli; son storni
                  
                  i tuoi, di
corde che frugliano
                  
                  le ciprie del mio trullo
                  
                  di peripateta
zoppo: traumi
                  
                  ch'incasso,
vibrando le trèfole
                  
                  del mio crasso pupurrì.
beato
                  
                  uno spirto
m'infondi? o forse
                  
                                   
vedi solo di me che un trìllo,
                  
                  un farfuglio di ganzo che
                  
                  spèrpera
il suo rìvolo
vero,
                  
                  quello che il
turbigliòn
di ruzzate
                  
                     affogò in
puttanesche stonate.
                  
 
                  
                  Della
nuova guerra
                  
                  deus fitto cupe barbe sconce
                  
                  ex 
machina invogliava
                  
                  bolsi
putti  a scimmiotti
voli
                  
                  scarburati
                  
                  in teatro;
circumvolavano
                  
                  il fracasso e
la maniera, strabiliando
chi
                  
                  in
platea                                                              
mangiava  popcorn tranquillo
                  
                                                                                              
nell’attesa del ciak.
                  
                  e in quinta, d’alto eruttando
le saette
                  
                  fallace il
saladino squinternava
                  
                  minacce
brillanti domopak, si
prevedeva
                  
                  un filo logico
                  
                  un poco
grosso, aggiogato a un
polso burbero
                  
                   ma
avvincente.
                  
                                                                                          
niente melò, del preambolo
                  
                                                                                          
si sbrighino le quisquilie….
                  
                  
                  Di
quell’inghippo losco
                  
                  di quell’inghippo losco
                  
                  non si seppe
altro
                  
                  che
indiscrezioni
                  
                  mentre
masnada la crociera
                  
                  sviava
l’adriatico, lumaca:
                  
                  così
                  
                  le
mucillagini leccavano lo scafo
                  
                  attente a non
impensierire.
                  
                  se ne discuteva a ore brocche
                  
                  di primo
mattino
                  
                  quando la
mente era persa
                  
                  in slow-fox
di altre notti. per
                  
                  il non aver
dormito, per
                  
                  il non aver
sognato granchè
                  
                  si riandava
ai falsi miti di
progresso.
                  
                  e si sentiva
i boati, a rintocchi
                  
                  nel mare che
ad est
                  
                  perso
distraeva di sé;
consueti
                  
                  i gesti
                  
                  di risacca
e  progresso.
disposte
                  
                  le sdraio alla rinfusa, le illusioni
                  
                  hanno il
senso delle prime ore,
                  
                  ma sapersi
stropicciata
                  
                  indosso
un’attesa,  minacciava
                  
                  il riordino
delle priorità
.
                  
                  nella
discussione, al ponte
                  
                  erano giri
accesi soffusi, tacchi
                  
                  come anziani
confusi .
                  
                   le gelatine di frutta cadenzavano
                  
                  aromi esotici
                  
                  al primo
pallido sole.
                  
 
                  
                  Il
sacco (versione 6.1)
                  
 
                  
                                   
era la fine, davvero
                  
                  e vanesio il
dòmino,   
stridulo   incantando
                  
                  indicando
alla sua dama discinta
                  
                  indicandole
nello sconcerto generale
                  
                                                    
il supporsi intricare
                  
                  codardo di
code: minuscole
                  
                  rane, in erba
sventare,                       
indicandole
                  
                  giubilare
ancor folli soldati
                  
                  in
un’adolescenza di rame.
                  
                  e indicandole ancora fiorite
                  
                  le lame le
donne sfregate, i
sogni
                  
                  scarlatti,
senza riguardi le
disse sicuro,
                  
                  di rado vedrai,
                  
                  mia puttana,
                  
                  un uomo
avanzare in una tregua
                  
                  là
                  
                  nel collasso
d’ impèri
                  
                  avanzare dove
discorran fitte
le ore
                  
                  [in trincea
                  
                  esalavano oli
barlumi, i bronzi
dei commilitoni
                  
                  sgranati].
gli slavi serrati
ai semafori.
                  
                  eppure si sappia, fra noi : ore
8.47 alarico già marciava sul celio, che dirne
                  
                  porta salaria
orti sallustiani
fori imperiali basilica giulia tempio della pace terme palatine
                  
                  con
paccottiglie souvenir visi
                  
                  goti
bistrattati ruffiani fili
                  
                  bustieri
goffi poliglotti sfaccendati.
                  
                  ancora
marciava alarico
                  
                  sul celio fra
                  
                  noi fra
                  
                  noi
                  
                  così cadde l’ultima traccia
nel vuoto
                  
                  ridicola la
numero nove e il
lacchè
                  
                   
riprese la danza in silenzio
                  
                     
nell’attesa
del brunch.
                  
 
                  
                  E
in cielo quasi di sé sfarinando tracce
                  
                   e in cielo quasi di sé
sfarinando tracce
                  
                  sferzi di
luce, a scolpire in
un rarefare di fremiti
                  
                  che a poco
scemando stagliano
immenso
                  
                  lo scorcio ai
silenzi, sbaraglia
inatteso uno scroscio; e
                  
                                        
stremo è
                  
                  il segnale di una frattura, divampa
                  
                  il dubbio in
navata striscia
autunno
                  
                  immorale
                  
                    la
parata. così
                  
                  mutan radici, percorsi s’incrinano
                  
                  incalzano
nòve ragioni,
congreghe d’azzardo
                  
                  sgorgan
sospinte da piogge incostanti
                  
                  ch’accostano
a strambo sentire.
è
                  
                  altra la storia; nel contratto
                  
                  che scorrazzi
di turbe, chinchaglie
                  
                  di neon
serran convinti sospinti
in
                  
                  aspri
clangori, smidollati all’humus
                  
                  tra bestie
orbe scervellate all’imminenza
                  
                  d’inatteso
collasso,              
coli rimmel tu
                  
                  balli
scorretta vaga ai bigonci
                  
                  dei sessi
urgenti, letamanti
(tiritere disturbano, frappongono amplessi, sviano effrazioni di sessi)
                  
                  è poca
la
                  
                  storia:
renèe oggi
                  
                  la madre è grama, s’innalza
l’incenso: è fòco d’inchiostri.
                  
                  foco come abnorme fusse
                  
                  in cui
forgiare eclettico il
marchio nuovo,
                  
                                                                 
una   pioggia
                  
                  arabesca le
carni, scardina il
marcio, surge
                  
                  moneta agli
scranni. [estasi
                  
                  divampa
barbagli d’inganni, napalm
                  
                  narcisi
piroettan a fiotti
                  
                  fasci fasulli
sui teli nel cartoccio
                  
                                                 
che è
                  
                                                 
odeòn].
                  
                  quierpopolominutosimpazza?
                  
                  frotte di
teppe fioccan sghimbesci
                  
                  di risa al
fottìo d’impiastri,
salire
                  
                  virare
carpiare  folgorati
zanni turgidi
                  
                  clerici.
onomatopee
                  
                  schizzan
perplesse com’avant-gard
                  
                  elastici
d’antan, compl
                  
                                                  
esse                    
è stessa la storia
                  
                  svirgolano
l’immota capanna del
ciel
                  
                  che è
                  
                  autunno
immorale.
                  
 
                  
                  Quercianella
                  
                  tangemo
                  
                  quercianella,
toponimo arbustivo
                  
                  incagliati in
medio luglio
                  
                  quand’ ecco
nel terzo vagone
                  
                  sedevi anche
tu, scorbutico
                  
                  ad aspettarti
sano tra
                  
                  scanditi singulti di un bimbo
                  
                  in terza
fila, bigio.
                  
                  e come
azzeccarne il donde?
                  
                  non v’era
alcun chi.
                  
                  sfocato, dal finestrino
                  
                  sconti dei
tramonti
                  
                   un
ennesimo
                  
                  ma non
è che anteriore
                  
                  ciò
che si dipana brano
di poi?
                  
                  ascoltane
                  
                  le
modulazioni, inceppati
                  
                  gli accenni
crespe
                  
                  le riprese;
nei chiassi
                  
                  scomparto vedi
                  
                  spezzarsi
isole nervose
                  
                  in un mare di
cartapesta,
                  
                  paion
capricci, sfriati
                  
                  al baluginar
d’un dio d’ego,
le
                  
                  nubi imberbi
                  
                  ‘sti fili
bigi.
                  
                  non come nella dracena secca
                  
                  roteava
avant’ieri il ragno
                  
                  e di ellissi
si moriva
                  
                   e frasi
sfatte.
                  
                  
                  Un
lamento alle forze di polizia
                  
                  credetemi non è voglia
di giustizia
                  
                  ma anelito di
grazia  e
di vangelo
                  
                  a proporvi il
giusto esempio:
                  
                  impartite 
il castigo 
che castighi
                  
                  il forzare
del lavoro nelle celle
                  
                  lo schianto
delle tv contro le
grate
                  
                  l’uso in
calibro delle legnate
                  
                  il rifiuto
del sesso galeotto.
solo
                  
                  difendiamo il
lavoro, le parcelle,
le viuzze
                  
                  le pensioni
gli scontrini, dall’orda
serrata
                  
                  tunisina
kosovara. ci spacciano
gli stupri
                  
                  organizzati e
chiedono, ominidi
impuniti,
                  
                  le case i
mutui agevolati la
macchina blindata
                  
                  il lavoro
triplo, doppia cittadinanza;
da conigli
                  
                  si
snocciolano raschiano e 
frammischiano
                  
                  tutti uguali
come  facce
triste da cinesi.
                  
                  trafficoni
cincischiano s’intingolano
                  
                  si fingono
rifugiati unghioni
emarginati,
                  
                  poi detengono
le armi e s’intervistano
                  
                   in
tivvù, coi passamontagni
acciottolati:
                  
                  ci ingozzano
di robba strana,
lavoran così
                  
                  attori nati,
‘sti beduini mancati
                  
                  invertebrati.
                  
 
                  
                  Globalizza
e contesta
                  
                  ne ribadiamo la necessità
                  
                  agglobare est
tendenza ineludibile,
                  
                  agglobare
perchè input
siano
                  
                  sigillati in
sincrone digitatio
                  
                  in contesti
acquieti, proni d’uffici
market.
                  
                  abbomba, i
panozzi mcdonaldo
son
                  
                  farciti di
chip et scorie ch'aggustano
                  
                  et cucciano a
pronti ritorni.
tu
                  
                  fellow,
ritorni a' mmordarli,
a bolarli
                  
                  car 
dindan pauci sexterzi,
                  
                  and if you
drunk ccocaccola middle,
you
                  
                   sfreeze
di lazzi e get
your cock up, coke
                  
                  cocamenùnondìrdino....,
est tendentia
                  
                  lo ribadiamo
ineludibile, il
rosxxxo(red) la
                  
                  emme (yellow)
aggrediente, le
bollice sfreeze...et
                  
                  ridancie le
trozze que digitano
sincrone
                  
                  immenù
ch'abboli, che
skoli stonato.scontri
                  
                  ni!!
inglòba come capro
infiammatorio
                  
                  tra i mille
di espana plaza,you
interrato
                  
                  bunkerato nel
deliquio del transgenic
                  
                  accumulo,
bòmbati est
libertade ! crauto,
                  
                  attelepatisci-
connetti at tele
plus in mille
                  
                  screens,
ridondanti your heart
team.guarda pur
                  
                  tu e stona
aggorga, trabuzza
sbrana ‘cause mome
                  
                  non
c'è (la traufa). sei
tendente. sei unique-irricordante.
                  
                  et affine
dinner acciccati autre
rouge, accicca
                  
                  la cancerica
Marlba del tuo babbo-
che sega! che saga...
                  
 
                  
                  Doppio sogno
                  
                   attratti dalle sette porte,
stretti
                  
                  si calcolava
spanne di tendaggi
                  
                  porpora
e  laidi prelati,
tra  zanni
                  
                  arroccarsi, in bui stipiti, per
stanze
                  
                  dove accesa
filtrava una metrica
                  
                  pagana. si
calcolavan difese
                  
                  scudisci su carni e acido il filtrare
                  
                  calzante
d’inganni latrati, nudi
                  
                  per cosce
incastonate, tra 
martelli
                  
                  clavicembali e fra dischiuse labbra
                  
                  viole; una
metrica pagana a tratti
                  
                  insinuava
rintocchi in stanze,
scoppi
                  
                  fragori tra scacchi e freschi
intonaci,
                  
                  tracce in
carni preziose; balaustre
                  
                  barocche, le
mosse degli astanti
                  
                  convenuti.     
temevo dunque
                  
                     temevo bach. temevo
                  
                  quando
già allora mi era
imposto
                  
                  il taxi non resti fuori della
villa
                  
                  e lei non
spezzi la banconota…
                  
                  
                  ricordavi
le parole di borges
                  
                  ricordavi le parole di borges
                  
                  che, ritratto
in uno scorcio
d'arrabal
                  
                  civettava le
tre dita all'orizzonte?
                  
                  scarniva in tre destini
                  
                  il futuro
d'un libro in versi.
appunto,
                  
                  tre memorabili elementarissimi
                  
                  accidenti.
                  
                  che il primo
caso n'è
l'irricordanza
                  
                  alle ombre future;
                  
                  che il secondo è un' idea
                  
                  totale,
ammoniva borges
                  
                  della figura del poeta,
                  
                  uno scorcio
morale
                  
                  d'autore, nel mare di spade,
                  
                  di pochi
segni   
intrusi
                  
                  d'indice,
nessuno quasi.
                  
 
                  
                  e quindi il terzo inganno?
                  
                  a copiarne carponi
                  
                  te ne scordi
il segreto?
                  
                  o solo un trillo, li avrà
partecipi
                  
                  a un
crepuscolo, dei percorsi
abituali
                  
                  i posteri vocati.
                  
                  
                  Arsenio
                  
                  solitario, fra catinelle e marmi
in crasi
                  
                  tardoimpero,
or segui tu ‘sta
polla d’estro,
                  
                  quando ancora
in calidario saturnino,
                  
                  collaudati a
umori effusioni
effrazioni
                  
                  sbirciano,
anziani bagnanti,
turbati
                  
                  dal cielo in
carta e arsenio.
salmastro
                  
                  indugia
all’onda schiva, un ciarpame
                  
                  di miragli a
globi rossi. brilla
ancora
                  
                  il cielo
agnosta, smiracola tra
mulinelli
                  
                  così
la calca a sdraia,
senescente
                  
                  tra i gracchi
di tzigani altoparlanti
                  
                  a onde mono;
sullo specchio d’
acqua
                  
                  che riflette
i prodigi d’un cielo
scimitarra.
                  
                  s'agitano i
ricordi in calidario.
                  
                  i morti non
camminano sull’acqua.
                  
                  non nuotano i
ricordi che di
rado.
                  
                  II
                  
                  è battaglia mentre scroscia
nuova vita sulla vita,
                  
                  mentre
divampa linfa nuova allo
spartito,
                  
                  scrivine,
perché è
incauto passeggero l’estro tuo
                  
                  che la sera
assale; or verga
tu, che d’archi è una china
                  
                  che or in
trilli capriccia, ma
cheta poi, a perdifiato;
                  
                  troppo tardi,
nervosa la corda
del violino
                  
                  scheggia
l’archetto primo. troppo
tardi, sbirbona
                  
                  di strani
intenti meteo il cielo,
appare improvviso
                  
                  un destino
segnato, una curva
col gesso….
                  
                  non nuotano i
ricordi che di
rado.
                  
                  straccia il
conato d’acqua, spare
                  
                  la pioggia.
asserena.
                  
                  s’incaglia così la baruffa
in cirri
                  
                  upper-class.
                  
                  III.
                  
                  l’estro è passeggero
                  
                  incauto, ben
sai: nel calidario
                  
                  tra i
bagnanti, settembrina,
la fumea
                  
                  t’intravisa
                  
                  nel gioco
degli incanti, schiara
e
                  
                  tu acciechi
dei barbagli che,
ratto
                  
                  mirabola il
tramonto. così
                  
                  in fine d’un
prodigio consumato,
                  
                  d’urto, come
crine d’un’ ampolla
                  
                  rasserena; i
vegliardi vibrano
                  
                  a nuovo
mezzobusti,
                  
                  e in dorso
                  
                  tu scialacqui
le tue rime d’ordinanza;
                  
                  smemori,
incupendo di slancio
                  
                  laido scagli
a nuove guise.
                  
                  
                  A volte
                  
                  non ti avrei rivista
                  
                  che in altra
città
                  
                  in altra luce
                  
                  in altro
inganno.
                  
                  non torna, esatto
                  
                  il tempo dei
ricordi.
                  
                  l' ombra fiorisce gondole di creta
                  
                  nei nostri
sogni. a volte
                  
                  manca a
volte, alla forma
                  
                  dei pensieri
indolenti 
ritrosi,
                  
                  gondole
distratte, miei
                  
                  manca
                  
                  l'accortezza
d'una mano
                  
                  affatto
affusolata,
                  
                  straniera
                  
                  manca, 
che a forzare
                  
                  vera,
provochi in me
                  
                  smorfia
                  
                  di portento.
                  
                  non ti avrei rivista.
                  
 
                  
                  Al
colloquio
                  
                  erano in tre, puntuti
                  
                  in giacca sillabata,
                  
                  al vaniloquio
                  
                  dissero se
credevo
                  
                  in ciò
che sarei pututo
                  
                  divenire,
semplice
                  
                  in un
contesto, dissero
                  
                  del sapere
del saper fare, dissero
                  
                  affabili, del
saper essere, ingenuo
                  
                  aggredii;           
e
                  
                  dissi che ci
sapevo fare
                  
                  a parole,
sì
                  
                  a parole.
credo
                  
                  mi dissero,
ma rimasero in due,     
(il padrone distrasse da me, per un suo
                  
                  voto)
                  
                  se ero
portato al fare oppure
                  
                  alla ragioneria applicata, dissi
                  
                  ciò
che avrei potuto essere:
                  
                  uno gnomo da giardino,
                  
                  in un
contesto di fiaba.
                  
                  Annunciazione dell'Arcangelo Gabriele
a  Zaccaria
                  
                  da un'idea
di Gabriele Pepe
                  
                  "Ed ecco un Angelo del Signore
gli apparve ritto alla destra dell'altare dell'incenso
                  
                  e Zaccaria
vedendolo, fu turbato
e lo spavento cadde sopra di lui."
                  
                    e Zaccaria rimase muto.
                  
                  " Maggio aggelato
                  
                  crine di
maggio
                  
                  fronte di
genti, allora
                  
                  smarrirete
già
                  
                      in annunciazione
                  
                     
del colto
macello.
                  
                   Maggio aggiogato
                  
                  smorfia di
gladio,
                  
                  quando predato
                  
                  notturno il
cielo
                  
                                                                 
stellato
                  
                  d'
immenso,            
scivolerà
                  
                  con tutto
l’universo; nel tempio
                  
                  tra uncini,
sorrisi di lama
                  
                  rugiada: tu
già
                  
                  vedrai di maggio, che un volto
                  
                                                    
di rimorso..."
                  
                  "E il popolo intanto stava in
attesa di Zaccaria, e si meravigliava che egli indugiasse
                  
                  così
nel Santuario. Infine
venuto fuori, non riusciva a parlar loro, e compresero
                  
                  che aveva
avuto una visione nel
Santuario; egli però faceva dei segni e rimase muto."
                  
                  
                  Eroe dell' uno
                  
                  con lingue puntite
                  
                  scapole, e
sorrisi
                  
                  tranelli di
chi pensa
                  
                  saper di te
                  
                  ciò che tu meno vuoi
                  
                  del prossimo
                  
                  intuire
                  
                  e minuetti
sconcerti
                  
                  sconvenienti
a confondere
                  
                  fino        
a rendere
                  
                  te
                  
                  nolente, carente
                  
                  protagonista,
dardo
                  
                  all'avventura
d'una moviola
                  
                  che tu
vorresti (avresti voluto)
                  
                  dimessa: il fantoccio gonfiabile
                  
                  d'amico,
seduto
                  
                  d'infanzia, 
divora confidente
                  
                  il granturco
scoppiato, tra i
dolby
                  
                  e ignora
                  
                  il cinedocumentaristico processo
                  
                  con toni di
sprezzo
                  
                  acuto al
povero,
                  
                  celebrato,
tra le pieghe
                  
                  dell'istante,
ignora. ribalta
                  
                  la vita a te
                  
                  a te rincuora:
                  
                  1.dove parlare del denaro,
                  
                  2.dove
parlare dell'oggetto,
                  
                  3.dove
parlare di sé,
                  
                  4.dove
parlare dell'altra.
                  
                  e tra 'sti quattro cantoni
                  
                  distesi come
ghiaia sopraffina
                  
                  scavi un
deserto di grana, affatto
                  
                  eroe di te.
                  
                  
                  traduzioni e variazioni
                  di Guglielmo
d'Aquitania
                  
                  Ab la dolchor del temps novel
                  
                  foillo li
bosc e li aucel
                  
                  chanton
chascun en lor lati
                  
                  segon lo vers
del novel chan.....
                  
 
                  
                  Esercizio I
                  
                  I
                  
                  Nello dolce
novel tempo
                  
                  ridono i
boschi e gli uccelli
                  
                  cantan in
melodia del loro canto
                  
                  nòvo:
ciò che aneli,
ognun si volga.
                  
                  II
                  
                  Dal luogo a
me più caro,
messaggio
                  
                  non vedo, non
messaggero; così
cuor
                  
                  non dorme,
né ride, né
oso farmi innanzi
                  
                  io, ancor
incerto che sia, il
patto così
                  
                  come lo
chiesi. Nostro amore,
vedi
                  
                  III
                  
                  è del
biancospino, il
ramo che brina, annotte
                  
                  in pioggia e
gelo, di là
da un domani
                  
                  ove spanda il
sole; oltre il
ramo,
                  
                  entro al verde
                  
                  nella foglia.
                  
                  IV
                  
                  Madido, ho
ricordo d'un mattino
                  
                  che tacemmo
nostra guerra
                  
                  in patto e
Lei mi fece dono,
strana
                  
                  un anello e
fedeltà d'amore..
                  
                  e ancor un
giorno mi lasci Iddio
                  
                  esserle
vassallo ad adescar sua
veste!
                  
                  V
                  
                  Non odo il
canto ostile di chi
mi volle
                  
                  straniero a
mia dama, ella
                  
                  è mio
Signore; so come
parole sian
                  
                  vane, in vane
formule d'amore
                  
                  di cui va
vantando alcuno: ma
noi
                  
                  noi abbiam, d'amor carne e affilato
                  
                                     
un pugnale.
                  
 
                  
                  Quattro poesie
                  
                  I
                  
                  cerco il tuo tempo, distratto
                  
                  ai miei
indugi.
                  
                  in idillio mi scorgi
                  
                  sfalsato
                  
                  dissorto alle
tue frenesie
                  
                  di posa e
scomposta, quando
                  
                  in tua
rimostranza appaio
                  
                  flessivo
                  
                  da speculare
irrisolto
                  
                  sui tuoi
falsetti lungamente
spiegati
                  
                  e mai appresi
                  
                  dai miei
pigri palmi smagriti:
                  
                  ho spanne di senno a svelarti
                  
                  in estrema
tenzone.
                  
                  e dopo
i  congegnati fioretti
                  
                  t'insegnerei un pretesto (un orizzonte
                  
                  inclinato da
spaesare lievemente)
                  
                  a importi, ti
costruirei
                  
                  un
cavalluccio di barbiere modesto
                  
                  graffierei a
china la clessidra
                  
                  ruffiana, ma
tu
                  
                  accettata m'abbui profonda
                  
                  tu fazione, traccia
                  
                  che scintilla
indolente
                  
                  nell'avvenimento
                  
                  concentrico.
                  
                  il tuo tempo ha cadenze di suono
                  
                  che non
arrivo anche segugio.
                  
                  II.
                  
                  vedi: la mia saviezza di contabile
                  
                  t'incute
parcelle
                  
                  che sprezzi
                  
                  e l'oscuro
dei tuoi occhi di
dama
                  
                  schiudono
incendi e acume,
                  
                  ne
accartoccio le fila di fuoco
                  
                  sbuffando
artimbanco,
                  
                  così ferina illusiva mi
trascini
                  
                  commosso: m'esplode un rimorso
                  
                  d'inattuale
emergenza.
                  
                  ne scrivo. flusso
                  
                  e screziata
dei miei crampi
                  
                  tu riversi
                  
                  un profilo di
ripide scale
                  
                  ineguale tu
                  
                  al mio
desiderio di ripido
                  
                  azzardo. alle
danze. alle danze.
                  
                  III.
                  
                  coltivarsi
                  
                  la mia
distrazione
                  
                  di stecche;
qui
                  
                  è il
tuo rimprovero
                  
                  corrosivo.
                  
                  così la mia barba anacoreta
                  
                  incurante,
così il mio
occhio
                  
                  camuffato.
mentre lo stagno
                  
                  breve risolve ghirlande
                  
                  le
indiscrezioni che i tuoi sassi
                  
                  impiegati di
getto.
                  
 
                  
                  voltaico
                  
                  il tempo ha
il corso
                  
                  delle muse
brevissime, s'insinua
                  
                  il dubbio
alle corde
                  
                  stretto e non
resta
                  
                  che un alibi
a cavalcioni. ricordi
                  
                  quale fosse l'affanno? quale
                  
                  il verde
struggente di febbraio
                  
                  deprime di
piogge liberatrici
                  
                  gli
interstizi della morte
                  
                  giusto trascorsa. ci osserviamo
                  
                  nelle tue trecento parole commesse
                  
                  di sbieco e
profonde
                  
                  nel silenzio:
il costrutto regolare
                  
                  di pioppete a
losanghe accese
e artificiali
                  
                  (ho sconnessi
oggetti imposti
nelle tasche
                  
                  ad inventarci
amuleti di ore
divertite)
                  
                  diviene
un'estrema variazione
                  
                  del pomeriggio intaccato dai tralicci
                  
                  umani.
                  
                  IV.
                  
                  tuo eloquio a sbalzi nascondi
                  
                  la verve al
mio sfrecciato cinismo
                  
                  che oggi
sulla carta
                  
                  gualcito affanno dei pavidi.
                  
                  sulla carta
posso provare
                  
                  a ordinarti
per rubuste parallele
                  
                  di concetti
sequenziali e progressivi:
                  
                  le mie linee essenti
                  
                  le tue
elusioni da elettra
                  
                  i miei
rimpianti di ragno oleoso
                  
                  le tue
frenesie impigrite in
passeggiate
                  
                  sfiancanti, i
miei sarcasmi di
greto.
                  
                  posso tentare.
                  
                  ma sappiamolo,
                  
                  è una
volubile storta
                  
                  un
minicataclisma a giostrare
                  
                  i pollini
più dolciastri.
                  
 
                  
                  non il rito, e non bastano
                  
                  artificieri;
il tuo fiore
                  
                  ne perdo
ormai sfocando
                  
                  i contrasti
                  
                  distante al
tuo umore, arranco
                  
                  mimo di
schiena (viole distinte
                  
                  dagli spalti
a puntarmi)
                  
                  e digiuno in miopia anch'essa
scena.