VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Direttore: Emilio Piccolo




Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
Almanacco di poesia



Giuseppe Cammisa

 
1.

Questa notte non scrivo poesie.
Si sente l’odore della pioggia in giardino,
la cenere della sigaretta cade nell’erba bagnata.
Qualcuno in una  casa ascolta i Who, io sono alla pagina 122.
Leggo una poesia.  Arrivo al punto.
Si sente il rumore del motore di un’auto nella strada
qualcuno ha spento la musica in quella casa.
Chiudo il libro. Respiro.
L’aria è fredda e mentre guardo  altri uomini che passano
e si allontanano dal mio sguardo c’è  solo silenzio.
E ripenso a chi ora non vedo più, ai chi non ho mai visto,
a chi non ha mai letto un libro, a chi ne ha letti troppi,
a chi è passato via senza ascoltare la musica
che sento ora.

 

2.
Leggo di Alessandro, che ubriaco in una festa,
sgozza l’amico Cleto.

Mia madre ha detto che sarebbe dovuto venire l’idraulico

ma è in ritardo e la casa è vuota.
Con le pantofole ai piedi  scendo le scale.

Il pugnale era sporco di sangue

e negli occhi di Alessandro non c’era più ira,
mentre abbracciava il corpo freddo dell’amico.
Gli strinse le mani prima di tentare anche lui la morte.

Il tubo che perde è in garage.

Apro la porta e un odore di benzina mi prende il naso e la gola.
Dietro l’auto ora il tubo sgocciola, ma nel pomeriggio ha allagato tutto.

E a terra è ancora bagnato.

Disse che non avrebbe più toccato vino, mentre piangeva nella tenda.

Prese l’Iliade e ordinò che si facessero a Cleto gli stessi onori
che Omero cantò furono fatti ad Achille.

Una goccia scorre lentamente sul tubo e cade in una pozzanghera

nel pavimento che è pieno di polvere.


Dopo tutto accadde come se nulla fosse accaduto prima.
nessun coltello sporco di sangue, nessun corpo morto tra le risa e l’alcool.

Due monete d’argento sugli occhi del cadavere, per traghettarlo nell’Ade.
Poi il fuoco si alza sulla pira, il povero re è svenuto.

Le dita delle mani e le labbra bagnate ancora dal vino.

La storia come la vita: un’inutile ripetizione.

Riso e pianto di re e giullari, burattini e burattinai.
 
Una goccia eguale alle altre cade. Uno schizzo sulle pantofole.


 
3.
Le parole come lame vibrano nell’aria.
Fuori di qui la luna:
Il tempo metterà al loro posto ogni cosa.
Ma ora le parole strappano via la carne.
mentre la notte scorre via veloce.
e la luce rimane ancora ai margini.
Lui la guarda.
Lei gli sorride.
attenta a come tiene le labbra, a come muove i piedi,
mentre la luna illumina la stanza
e il suo  sorriso quasi fosse morto da poco.


 
4.
Al muro della stanza è appeso un quadro vicino ad uno specchio antico.
Sulla tela si intravede una firma in corsivo, ladro di lune sta scritto.
In un cielo viola un sole incandescente illumina tutte le lune,

che sembrano roteare.
La notte scorsa ho sognato che le gambe mi pulsavano,

ma il dolore l’ho sentito.
Una donna correva veloce verso di me.

Ci trovavamo all’ombra di un grande albero,
poi è sparita in una luce viola.
Un puzzle con i pezzi sparsi, che pare impossibile da ricostruire.
Sulla cornice del quadro è dipinta una rosa rossa

e in un angolo c’è un globo disegnato a matita.
Gli occhi di quella donna che mi fissano,

mentre osservo il sole e la luce viola.
Sento il rumore dei suoi tacchi prima di sparire.
Come se tutto fosse reale, anche lei e i suoi capelli.
O come se nulla lo fosse.

 

5.
Ci troviamo in strada mentre piove.
Parliamo del più e del meno e io gli chiedo come vanno le cose.
Non mi risponde, e a me sta bene così.
Mi bagno la scarpa in una pozzanghera, faccio finta di niente.
poi saliamo le scale e ci troviamo su un pianerottolo a parlare delle ultime poesie,
illuminati da una debole lampadina.
C’è una finestra e si vedono passare le auto.
“Cosa pensi ?” mi chiede.
Non gli rispondo e a lui sta bene così.
Quando siamo di nuovo in strada abbiamo ormai smesso di parlare.
ci salutiamo sotto un lampione. La pioggia batte ancora forte.
“A dopo amico” mi fa.
“A dopo amico” gli faccio.
Forse avrei dovuto dire qualcosa in più,
ma va bene così. È buio e inizia a fare anche freddo.
Metto le mani nelle tasche dei jeans  per riscaldarle.
L’amico ha girato l’angolo da un pezzo.
Pensavo alla morte e mi è sembrato quasi doveroso farlo.
Poi l’ho cacciata via. Lontano, ma non troppo.
Lascio che le solite cose riaffiorino. Quelle di sempre.
Giro anch’io l’angolo.
Ma non riesco a non pensare alle auto, che guardavamo dal pianerottolo
e alla morte che avevo dentro quando la luce si spense

e al buio la parola
eternità mi morì in gola.


 
 
6.
Per un attimo.
Ill tempo giusto perché un pensiero ti arrivi agli occhi.
e allo stomaco.
Un attimo.
In quell’attimo ha avuto paura.
Di entrare in casa e trovare suo padre.
tornato presto da lavoro o per altro, ma lì.
Lì, alla scrivania. Con ancora addosso il vestito blu scuro e la cravatta lilla.
Che lo guardava attraverso la nuova montatura.
“Ciao”  ha detto.
Ma lui non ha risposto.
Ha aperto la porta.
La luce è accesa nella cucina e lui l’ha spenta.
Meglio i soliti vaffanculo che un “ciao”.
Meglio tutto di questa verità che lo ha preso nel buio.


7.
Scrivemmo racconti che non erano veri.
Nel mio c’era un padre. Non era un padre qualunque.
Non ricordo cosa scrivesti nel tuo.
Solo che piangevi mentre leggevi e avevi  la testa sulla mia spalla

aspettando che il racconto finisse.
Ho sempre pensato che fosse iniziato tutto quel giorno.
Poi ci siamo chiamati amici.
poi ho detto ti amo e non ho più sentito la tua voce.
Ma tu puoi farti un giro dentro la mia follia se vuoi.
Sento il tuo odore.
Chiamalo caos. Il caos crudele dei sogni
nei quali vedo il vestito grigio di mio padre,

il corpo morto della mia gatta mentre tu  ti parli allo specchio.
M anche questa vita è caos.
Come nelle sere che erano altre sere.

Quando ti avrò pestato i piedi cento volte, ballando.
E non sapevo se ti piacesse il jazz.

Mentre  l’immagine del corpo morto della mia gatta non andava via.
E quella di mio padre che si mette nei casini
per una storia di donne e cellulari.
Ma questo a te non interessa. E neanche a me va di parlarne.
Così  ho lasciato la tv accesa, i calzini sotto il letto e la finestra spalancata.
E al diavolo l’insonnia.
Sono andato da mia padre in cucina che piangeva.

Sei un bravo figlio, mi ha detto

Ma si è dimenticato di dirmi il resto.
Ha dimenticato anche che dovevamo andare a pesca insieme quest’estate.

Prima o poi il tempo divorerà tutto questo,
e non mi resta che giocare con l’ombra della mia mano
in questa sera che l’aria sa di fumo e ci inventiamo parole per non annoiarci.
Poi ce ne andiamo a casa senza fermarci per la strada
lasciando indietro un pezzo di noi.


Non chiedermi perché, ma ho scordato ancora il tuo nome.
Beatrice, vero ?


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