VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo




Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
Almanacco di poesia



Federico Batini

 

Annalisa
Rocco La Spina
Le mani intorno
Come i sassi
Fabio Moncini


Annalisa

     Annalisa è minuta. Si potrebbe dire piccola o bassa o in tanti altri modi, ma lei è precisamente minuta.

      Annalisa ha lunghi capelli rossi ed efelidi leggere sul volto. Il volto è tenue gli occhi azzurri, senza arroganza.

      Annalisa profuma, ha un profumo di selvatico che a starle troppo vicino ti invade la testa.

      Mi sono incontrato una volta, forte, con Annalisa, molti anni fa, e non ci ho capito nulla. Non ho capito se l’avevo presa io o lei aveva preso me o entrambi, ricordo il profumo dei suoi capelli rossi, intensi.

      Non ho capito chi era che aveva lasciato l’incontro senza un seguito e ho voluto credere di essere stato io. Anche lei ha voluto credere che fossi stato io poiché dopo molti anni ha gradito le mie scuse.

      Dopo molti anni non ho avuto il coraggio di prenderla ancora, non ha avuto il coraggio di prendermi ancora, con tenerezza diversa, e le mani nei suoi capelli rossi.

      Io allora l’ho salutata con inviti a tornare, ma senza più cercarla, lei non ha detto di no, ma l’ha nascosto male ed il suo no, seppure le pesasse, si scorgeva tra i suoi capelli rossi.

      Le ho detto che sapeva dove trovarmi, ha risposto che non basta, a volte, sapere dove si trova la persona che desideri. Ci sono distanze che non si misurano in chilometri, ma in affetti messi in mezzo. Non rompo affetti per antica abitudine, soltanto quelli che già mi appartengono, a volte, senza malizia. Non rompo affetti altrui, ho passi prudenti nelle case composte e questo spesso pare disinteresse. Ho passi di corsa nelle case vuote, come se soccorressi solitudini, questo spesso viene scambiato per una richiesta di durata e sembra aggressivo. Non ho la misura delle relazioni, ho la misura del rispetto, per quello che conta. Annalisa e i suoi capelli rossi li ho pensati, a volte, in questi anni, lei mi ha pensato più spesso, con meno intensità forse, più regolarità.

      Sono stato di nuovo prudente con Annalisa e le ho lasciato la libertà di dimenticarmi, di raffreddarmi nel ricordo, solo un biglietto molto tenue, molti giorni dopo. Un intervento immediato nella sua vita me l’avrebbe consegnata grazie ad una temperatura molto alta. Era un gioco sporco, avrei ripetuto le stesse scene di molti anni fa e non volevo. 

      Sinceramente spero che abbia capito.

      Sinceramente spero che un giorno non lontano Annalisa suoni alla mia porta e mi consegni qualche giorno soltanto della sua vita, altro sarebbe troppo per entrambi, meno sarebbe un rimpianto per gli anni a venire.

 
 
Rocco La Spina

      Si chiamava Rocco La Spina, un nome e cognome arroganti messi insieme, si addicevano solo alla sua voce, grattata, di gola. Aveva una voce irreale, come carta catramata su ferro, eppure bassa, voce da fumatore cinquantennale, a due pacchetti al giorno.

      Spiegava chimica e biologia, probabilmente avrebbe voluto raccontare storie, e si era adattato alla disciplina di quelle materie raccontando sempre le stesse, anche le battute erano sempre quelle. Non incantava, ma si intuiva l’umanità.

      Invitava tutti i giorni ad essere interrogati, verso la fine dell’anno quelli che avevano insufficienze nelle sue materie, bocciava solo i renitenti, quelli che nemmeno provavano. 

      Usava gessi colorati, come segno di attenzione nei nostri confronti, per distinguerci gli elementi. Non era un professore moderno, chiedeva le formule, voleva disciplina, pure non era capace di gridare, alla nostra confusione usciva, per rientrare quando ci eravamo calmati. Ci rispettava, questo si capiva e non prestavamo attenzione, quindi ci rispettava molto. Una faccia da mastino piegata al sorriso, tra le molte rughe, mai al ringhio.

      Ebbe un cancro, lento, che ce lo portò via nel penultimo anno di liceo. Salimmo all’ospedale e fu come una gita scolastica pomeridiana, tutti insieme, anche quelli che il pomeriggio non si vedevano mai perché venivano dalla campagna.

      Ci accolse con allegria. Lo trovammo dimagrito in maniera imbarazzante, giallo, nulla dell’energia che usciva dal suo sfregare gessi colorati alla lavagna. Fu imbarazzante, dopo pochi minuti non sapevamo più che dire, ebbe un gesto che non dimenticammo, ci disse che aveva da fare, lui, lì, e ci congedò, per salvarci dalla nostra incapacità di dire.

      Tornò a scuola per un mese ancora, un tentativo estremo di vivere come ne avesse ancora, di vita, ci fu un otto marzo, festa della donna, omaggiammo le compagne di mazzi di carciofi. Rocco La Spina ridette moltissimo di questo gesto e ci ringraziò per averlo fatto ridere, ci disse che questo era importante.

      Morì pochi giorni dopo, al suo funerale mi si sciolse un pensiero che si era aggrumato all’ospedale. I professori, incredibilmente lo scoprivo, avevano una vita al di là della mattina, al di là della cattedra, al di là di noi, avevano dolori e gente che li piangeva, la scuola non fu più la stessa con quel pensiero.
 
Fai piano silenzio,
un silenzio odoroso
(di basilico e menta)
non darmi, ti prego
un silenzio oneroso.

E ascolta con garbo
la poesia che ci metto
nei particolari:
il prosciutto più rosso,
il melone maturo,
le stoviglie uguali,
una bottiglia studiata nell’anno,
il vitigno e il sapore
e ascoltane l’odore.

Da questi soltanto, ti prego,
non da ogni parola,
guarda se trovo posto
tra le tue magliette viola.
 
In preparazione della serata con me
sto mettendo in ordine i ricordi
ne approfitto per aggiornarli
con nuove creazioni.

Ultimamente, l’ho già detto?,
salto pasti senza accorgermi
ma i pensieri
non hanno requie, e si imbandiscono da soli
ad ogni ora fissata, sulla carta,
e si impongono alla mia cortese attenzione.

E allora, non opporsi è il segreto,
faccio l’inventario, ecco:
un suono a morto e il volto,
un dialogo sbagliato (sarebbe bastata una parola diversa?)
una gioia che nemmeno la capivi
(era dove? ho perso i contorni, li rifaccio),
i libri e le storie,
un lago di vino in una notte, 
alcune date, molte prese,
e poi tutti i sorrisi delle facce femminili
(alcuni nudi),
e la sensualità delle urla di trionfo 
di un gioco maschile,
e di nuovo le parole, stavolta tagliate giuste,
ma giuste a fare male,
e la tua faccia in tutte le misure,
in mezzo alle altre, da un sipario,
da dietro un altro ricordo,
dalle notti e dai giorni.
Trovo un gatto strano,
un riccio, una notte stellata,
il sangue dal naso,
e trovo le cose, i lavori,
le poesie di Lino con quel verso delle amarene.
Questo mi rimane
posso mangiare o mi faranno male? 

Le mani intorno

Mi asciugo con quello rosso le mani,
l’altro serve ai piatti,
mi asciugo la faccia
che non si dovrebbe lavare in cucina.

Ti affacci alla finestra
e fai una faccia
che sembra una collina
una faccia in salita.

Io la tua faccia la penso
ormai non la vedo da mesi
e mi sembra ieri, tu pensa,
sdraiati sul tuo divano
le mani intorno ai tuoi fianchi
e mi chiedevi “ma tu mi ami?”
fermavo ogni cosa
come se la domanda
fosse pericolosa.

Adesso per non mostrarmi
le mani le ho intorno alla faccia
perché ho dentro un tempo nuvolo
non so se pioverà, ma minaccia. 


Come i sassi

Non siamo rientrati nei tempi.

Negavi conferme alle stanche richieste
Negavi attenzione

Negavo futuro e promesse
le cose da fare, da sempre,
un cinema, un giro, la televisione
da sempre le stesse,
persino l’amore.

E poi ti stupivo ogni tanto
con un’attenzione:
una cosa strana,
magari un aquilone, 
colorato,
(che poi si impigliasse 
e cadesse era davvero un peccato).

Eppure sui tempi ci siamo fregati
e il gioco si è perso su quelli
alla tua noia ti amavo,
mi amavi alle mie incertezze,
mai avuto gli stessi passi
e quando ti parlavo, serio, 
pensavi che scherzassi.

Ricordi quell’erba di Anghiari, le liti,
il pic-nic preparato da te,
con cura commovente (alla bocca ed al cuore)
ricordo quel gesto di amore
io quello chiedevo,
tu mi chiedevi certezze.

Ricordo al mattino i tuoi passi
sul pavimento di casa tua,
i tuoi in vacanza,
ricordo l’amore, quasi in ogni stanza
(i primi tempi, ricordi?)
ricordi i miei passi al mattino? 
avevo andature pesanti
come i sassi.
Come i sassi è stato il nostro amore
forte, invincibile, ricco di dolore.    
E il dolore ci è sopravvissuto
non che siamo morti
(magari sei persino felice)
ma la nostra relazione
è finita come il mio aquilone.


Fabio Moncini

      Fabio Moncini è grigio.

      Fabio Moncini ha trent’anni, ma è completamente grigio e non si intenda soltanto nei capelli, i quali per altro, incredibilmente, sono già tutti grigi e bianchi, ma dentro, nell’anima, nell’aspetto, nella voce, nei gesti, nelle parole.

      Fabio Moncini è bassoccio, grassoccio, con una faccia tonda e lineamenti da porcello.

      Fabio Moncini vive con i genitori, non si è mai laureato, non ha mai fatto un mestiere, vive un’esistenza vicaria, attendendo i tempi di un amico che ha bisogno di gente sottomessa e grigia, per non sbagliare, per non vedere il proprio rimandare la vita, ma questo è dell’amico, Fabio Moncini non ha un’esistenza da rimandare.

      Fabio Moncini fuma, beve, ama lo sport, alla televisione, non potrebbe, d’altronde, essere altrimenti, non potrebbe poiché il tempo dell’attesa deve riempirsi in qualche modo. Attende, probabilmente la propria fine oppure di cominciare a vivere.

      Saltuariamente Fabio Moncini ha dei pensieri, che si possono classificare in questo modo, essendo essenzialmente, pensieri di tre tipi, accomunati dal grigio:
1) Pensieri contro la società
2) Pensieri contro qualcuno che costruisce qualcosa
3) Pensieri contro la vita

      Fabio Moncini non ha però né la vitalità del terrorista, né quella dell’assassino, né il coraggio del suicida, altrimenti sarebbe tutte e tre le cose.

      Fabio Moncini ha la capacità di rendere triste una serata allegra, di parlare male di qualsiasi cosa, di criticare e fare sarcasmo (triste anch’esso) su qualsiasi argomento.

      Fabio Moncini è divenuto alessitimico per difesa, mai avuta una donna, mai una storia, nemmeno corsiva.

      Fabio Moncini, nonostante tutto questo, è così insopportabilmente presuntuoso che ti viene da augurargli la vita che ha già.

      Fabio Moncini, semplicemente, ha rubato l’esistenza ad un bambino mai nato. 

      Il mondo non si è probabilmente mai accorto che Fabio Moncini esiste, qualora morisse avrebbe un funerale con venti persone, parenti compresi, queste righe sono l’unica (insufficiente) cosa che possa in qualche modo giustificarne l’esistenza.



      Federico Batini (Arezzo, 1971) laureato in Lettere (Firenze e Losanna) ed in Scienze dell’Educazione (Siena), Master in Gestione dei Processi Formativi, diplomato in Scienze Religiose, specializzato in Progettazione Formativa ed in Didattica Interculturale è dottorando di ricerca in Scienze dell’Educazione presso l’Università di Padova. Ha svolto attività di ricerca sui processi formativi, come borsista, presso l’Università di Siena e collabora al Dipartimento di Scienze dell’Educazione della stessa Università. Responsabile Formazione Ucodep-Movimondo Toscana. Svolge attività di counselor, formatore, orientatore, progettista, consulente per Scuole, Enti, Università, aziende ed agenzie su tutto il territorio nazionale. Ha fondato e dirige PratiKa, società di formazione, orientamento, counseling e consulenza. Collabora a numerose riviste, nazionali ed internazionali, in particolare sui temi della formazione e dell’orientamento. Tra le ultime pubblicazioni: F. Batini, Guida alla Formazione ed all’orientamento, Divisione Generale V, Comunità Europea, Amministrazione Provinciale di Arezzo (1999); “Formare al potere, formare il potere, eliminare il potere” in: “Potere e soggetto nella società contemporanea” a cura di S. Berni ed A. Spini, Angeli, (2000); F. Batini, R. Zaccaria, a cura di, Per un orientamento narrativo, Angeli (2000); F. Batini (a cura di), Tra utopia e realtà: per un’educazione alla pace, Angeli (2001); F. Batini, Lo sguardo che carezza da lontano. Per una formazione alla relazione di aiuto, Angeli (2001); F. Batini, A, Falsini, Verso l’isola dell’impiego, Angeli (2001); F. Batini, A. Fontana, Comunità di apprendimento, Milano, (2001).

      Ha vinto numerosi premi di saggistica letteraria (Premio Nazionale Casentino, Premio Città di Caserta, Premio città di Lanciano). Sta preparando due volumi di saggistica letteraria (due monografie una in stampa ed una in preparazione); un volume di poesie, uno di racconti e due volumi per bambini illustrati da Luca Ralli. Per il musicista Federico Terenzoni ha scritto i testi del disco “Cantami i tuoi sogni”, attualmente in fase di registrazione.

      E’ la Guida del Portale Supereva per “Letteratura e poesia contemporanea”:
 

http://guide.supereva.it/t1/letteratura_e_poesia_contemporanea/



Home