VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Lucianna Argentino

   
dalla raccolta inedita “L'ospite indocile”
 
Sta in quel di più – visione delle madri
lei che parla senza staccare la lingua dal dolore
e continuamente lo rifà presenza
di se stessa e di quel che
del suo motivo le avanza.
 
***
 
Qui stanno gli anni, le storie inconcluse,
gli sguardi senza più coraggio,
le assenze dentro i sogni
o le troppe presenze ancora
ancora senza degna sepoltura. Per questo
sarebbe meglio cambiare il pensiero
ora che è cambiato il millennio
e il silenzio si è fatto più fitto
e le parole avvizziscono
così che si diradi questa luce bruna
e la paura sorrida di sé
e sollevi il capo dal risentimento.
 
***
 
Dice che non c'è addio nelle asole
e asola allora sia:
poca materia intorno e vuoto.
Sia passaggio e allaccio
sia lo spazio dell'abbraccio e del ritorno
sia pertugio e rifugio
sia il chiuso esposto alla parola.
 
***

La guerra finì
e loro che c'erano nati dentro
ne uscirono con vaghi ricordi
di allarmi e vermi nella minestra.
E nonna, quella di cui porto metà del nome,
persa nella continuità spazio temporale,
è malamente è malamente, ripeteva
e quando le offrivano del vino
na cria diceva, una goccia, una lacrima.
No cry nonna no cry
passati ormai a un'altra storia
a un'altra guerra di tutto il lascito
ce ne resta na cria.

***

Sembrava facile pensare che potesse essere tutto lì.
C'era il sole, il vociare del vento, c'era l'infanzia con le altalene
a filare il tempo, c'erano i prati, gli alberi, il loro verde
materiale e mutevole e c'era un poco d'ombra
per non socchiudere troppo gli  occhi.
 
Sembrava facile, sì, pensare che potesse essere tutto
in quella luce a strati, nel desinare chiaro della rondine,
nel lavorio della formica, nella liturgia della morte,
nella sua sonora pietra. Felice di nulla edificare.
 
***
 
Sommale le storie, fanne cifre aguzze
come gli anni di quelli vissuti
sulla capocchia di  uno spillo;
prendimi il fiato, la rincorsa;
trattienimi dentro silenzi
in ascolto delle radici,
del crescermi dell'anima
mentre scrivo per sapere cosa è natura
e cosa è sostanza e come fa a essere buono
un frutto o un uomo.
 
***

Non so quale felicità avremmo vissuto,
o quale guancia avremmo offerto all'offesa
se felicità c'è stata, se c'è stata offesa.
Così lo scrivo, ne faccio segno,
per capire come si spiega l'albero la potatura,
il papavero lo strappo
i bambini il tempo e lo spazio:
- dove va la notte quando è giorno?
- mezz'ora è tanto o poco?
O come si spiega il vuoto degli esseri
che ci stanno accanto come un'assenza
o il senso irsuto della vita,
il suo difficile che diventa facile
quando cominci ad amare.
 
***
 
Prima il compito
il dovere
del sì detto d'incanto
e poi la prova
la misura
della visione
e della stonatura.
Le coste hanno luce
di rami spezzati
e gli schiocchi del mare
mordono il fiato al vento.
Risale a fatica l'orizzonte
col senso di noi offerti
in sacrificio alla creazione.
 
***
 
Andava incontro al padre
lo rimetteva al passo,
al presentimento postumo.
Fate presto, fu ciò che in ultimo
udì da lui - vero di voce.
Voce rimasta a vibrare
in qualche punto indeterminato,
catturata dove la memoria
non è questione di sinapsi e neuroni
piuttosto del moto armonico semplice dell'amore
che tiene alto il coefficiente di correlazione
tra i vivi e i morti.
 
***

Non risposero all'appello
ma la loro assenza
non provocò domande
semplicemente si stette
ad ascoltarne l'eco del nome
come davanti la lettura
di un testamento.

***
 
C'è qui – mentre le voci dei bambini
impollinano il tempo – come una nostalgia
simile a quella che del corpo hanno i morti.
Acqua acqua fuoco fuoco - giocano
a chi trova ciò che è nascosto
un gioco che durerà ancora,
a lungo.
 
***
 
Ci metto il nome
qui dove di me c'è spartizione
di me e dell'opera delle mie mani
che rifà giardino il nostro abitare terreno
e del canto un consolare l'angelo
posto di guardia obbediente e stanco
di tanto nostro non tentare
di rientrare.
 
***
 
Scrivo di nascosto da Dio
che nella bocca voglio parole mie
e niente niente
nel passaggio dalla fronte
alle dita alla punta della penna
al suo muoversi sul foglio
per mio sentire altro
per meditato silenzio e pulsare di tempie
per il mio stare accovacciata
presso lo scavo con l'angelo geometra
e la sua corda a misurare
quanta benedizione c'è sulla terra.


Home